di Marianna Mandato – Vivi bene la tua vita! La vita è bella, non fartela sfuggire di mano. Ecco qua. Vita. Una parolina semplice semplice che appare da subito intuitiva nella sua essenza. E chi non sarebbe pronto da subito ad affermare “certo che so che cosa significa vita”.
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Eppure, siamo proprio sicuri di saper spiegare cosa si nasconde in questa parola in apparenza così ovvia? Cosa ci racconta la parola vita? Che cosa indica nella realtà? Che cos’è quel qualcosa che ci “sfugge” a volte della vita?
Badate bene,
saper spiegare il significato della parola vita ci suggerisce anche la vita cos’è.

Sì, perché ultimamente capita spesso di sentir dire nei posti più disparati “ma poi la vita che cos’è?”. Come se la sua definizione fosse evanescente. Come se si parlasse di vita ma senza sapere esattamente cosa sia questa cosa che chiamiamo così.
Andiamo subito al sodo e cechiamo immediatamente di capirci qualcosa in più.
Intanto, identifichiamo i “genitori” della parola vita.
Come quasi sempre accade, ci blocchiamo ai nostri cari antichi latini. Per farla in barba a chi crede che i classici abbiano scarso valore nel mondo moderno. Ci fermiamo alla loro parola vīta (da un arcaico vivita) che significa proprio vita. E quindi? Qualcosa ci lascia perplessi.
Andiamo allora un po’ più indietro, e troviamo un’altra parola importante, ma sanscrita: givathas, che significa anche stavolta che è vivo, vivente.
Sembra uno scherzo. Come se chiedessimo a un bambino che cosa significa la parola vita e lui ci rispondesse “facile, significa essere vivo, vivere”. Ecco, e che si fa? Persone strane come i filosofi direbbero che si tratta di una tautologia, di qualcosa che ripete se stesso con parole leggermente diverse, mentre molti dei nostri nonni direbbero che “ci si gira intorno senza arrivare al dunque”.
Aggiriamo l’ostacolo e cerchiamo di capire pertanto le nostre parole “vivo” e “vivere” come erano riempite dai latini. La parola vivo con le parole vivo (ci risiamo) e vivace, e la parola vivere con esistere. Bene, qualcosa inizia a muoversi.
Ora, cerchiamo di capire cosa è possibile si nasconda invece nella parola vita, da un’altra prospettiva, dando un’occhiata ai suoi derivati. Vale a dire, parole che derivano dalla parola vita e che dunque contengono il significato della stessa parola vita.
Vitale e vitalità, vivace, anche vitalizio perché no, e “in vita”, dunque vivente.
Poi facciamoci la domanda di sempre e chiediamoci: può dalla parola vita derivare anche un verbo? Certamente, in due differenti forme. Non si dice vitare, ovvio, ma vivere e essere vivo. Ne deduciamo che una forma verbale è diretta fuori di sé e l’altra verso se stessi.
Come ormai sappiamo,
qualsiasi verbo implica l’azione. Insomma, per vivere o essere vivi ci dobbiamo muovere. In qualche maniera, lo stare fermi non corrisponde a vivere. Meglio, non lo realizza, ossia vivere non diventa reale.
Se vogliamo vivere, non possiamo starcene fermi in poltrona ad aspettare che la vita provveda a far accadere le cose, a realizzarle per noi o a realizzare noi. La vita è quelle stesse cose.
In poltrona ci possiamo stare e continuare ad essere vivi, è vero. Ma in questo caso stiamo solo “in vita”, stiamo solo esplicando le nostre funzioni vitali. Sono loro a muoversi per tenerci in vita ma noi non stiamo vivendo, ossia realizzando noi stessi dentro e fuori di noi. Nella realtà, appunto.
La vita per realizzare il suo significato si deve muovere, deve essere vissuta.

Ora appare più chiaro. Muoversi non vuol dire semplicemente spostarsi o camminare ma realizzare se stessi nel mondo, esistere. Quel movimento di realizzazione si esprime bene nell’essere vivo. Essere vivi, significa sentire in sé quel movimento, sentire la vita “scorrere nelle vene”, direbbe qualcuno.
Quel movimento è la vita. Senza movimento la vita sparisce. È come non esistere. E come non esserci. E quando si sta vivendo, si vede, si nota.
Siamo come delle fiamme che per essere vive devono essere accese.

Difatti, quand’è che diciamo che una fiamma è “viva”? Quando splende. Quando arde. Quando riscalda. Quando è accesa e ben visibile. Quando si realizza come fiamma. Una candela senza fiamma è semplicemente una candela spenta. Non vediamo la fiamma. La fiamma per esistere deve “essere viva”.
E qui torniamo a quei vivace e vitalità derivati da vita. Mantenere una fiamma vivace vuol dire continuare ad alimentarla, magari con della legna. Allo stesso modo, quando diciamo “quella è una persona vivace“, stiamo dicendo che è “piena di vita”, che alimenta la sua vita per essere viva. E con la sua vitalità scalda anche all’esterno. Fuori di sé. Agisce oltre sé.
Persino un colore, per essere vivo, deve essere acceso, brillante. E quando lo è, si nota subito.
Così, se sentiamo qualcuno affermare “oggi mi sento proprio vivo”, è probabilmente perché, rispetto ad altri giorni, sente e sa che sta esprimendo se stesso nella realtà. Sta muovendo e realizzando quel che sente di essere al di fuori di sé oltre che in sé.
Al contrario, se sentiamo qualcuno dire tristemente “e intanto la vita scorre”, come se la vita fosse qualcosa al di fuori di lui, è semplicemente perché quel qualcuno non sente di vivere come dovrebbe. Non sente di esistere. E la vita diventa solo il tempo che sfugge.
Essere vivi è il vitalizio che dalla parola vita deriva. Vivere deve durare tutta la vita.
La parola vita lo sa e ce lo comunica.
Non dimentichiamoci di vivere allora!

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