di Marianna Mandato – Grazie! Siamo certi che tutti, ma proprio tutti, abbiamo detto o diciamo questa piccola parola più o meno tutti i giorni con elevata frequenza. Vero è che, qualcuno lamenta il fatto che le persone stiano perdendo l’abitudine di dire grazie. Ma noi non ci crediamo.
Sembra una parolina semplice. Sembra una parola di facile comprensione. Accessibile e chiara. Sembra che ne conosciamo tutti il significato.
Ascolta “Il significato della parola GRAZIE” su Spreaker.
Ma siamo proprio sicuri di sapere esattamente che cosa affermiamo quando diciamo “grazie”?
Divertiamoci a capire se quel significato lo conosciamo veramente.
Intanto, di quale sostanza si riempie la parola “grazie” perché prenda la sua forma? Detto diversamente, se “grazie” fosse un palloncino, di quale sostanza dovremmo riempirlo per dargli la sua forma? Per capire se volerebbe o resterebbe a terra?
Ecco, al posto dell’elio o dell’aria, mettiamo dento la parola grazie tante altre belle paroline, necessarie a darle consistenza: bellezza, gentilezza, positività, riconoscenza, accoglienza, benevolenza, condivisione, biunivocità, scambio, onestà, dialogo, sincerità, bene, dono.
Accipicchia, un ordigno di positività. Non sfugge a nessuno.
Ma come si esprime tutto questo nella realtà? Come si fa a scorgere questi contenuti semplicemente dicendo grazie?
Per capire, cerchiamo le origini della parola.
Abbiate pazienza, occorre rassegnarsi di nuovo alla presenza dei greci e dei latini per la spiegazione.
Grazie è il plurale del latino gratia. Nella sua forma greca era chàrites, plurale di chàris. Sia gratia sia chàris volevano dire dono, bene.
In greco la parola indicava anche l’essere contento, lo stare bene. Mentre il latino gratia, a sua volta derivava da gratus che significava proprio essere grato ovvero riconoscente.

Essere riconoscenti, dunque.
“Riconosciamo” che qualcuno ha fatto qualcosa per noi, cioè, ce ne accorgiamo.
Dicendogli grazie, gli comunichiamo “ehi, mi sono accorto che hai fatto questa cosa per me!”, “mi sono accorto che col tuo intervento hai facilitato le cose o le hai rese possibili!”.
Ecco, siamo riconoscenti. In qualche modo mostriamo “gratitudine”. Che guarda caso è una delle parole figlie della parola grazie.
Arrivati a questo punto, chiediamoci – come facciamo per ogni parola – se di questa parola può essere figlio anche un verbo. La risposta è sì, certo. “Graziare!”, saremmo portati subito ad esclamare. Non è del tutto sbagliato ma, ora il verbo che ci interessa è ringraziare.
Sappiamo, ormai, che il verbo implica l’azione. La nostra azione. La parola, insomma, vuole che diventiamo suoi complici agendo, affinché il suo significato si manifesti nella realtà. Si realizzi. Quando noi ringraziamo, in pratica, non stiamo usando solo una formuletta bramata dal bon ton.
Ringraziare vuol dire mostrare gratitudine, e gratitudine vuol dire rendere grazie. Il verbo rendere, tenetevi forte, prevede per sua natura una restituzione in qualche forma di quel che si riceve. Dunque, rendere il dono. Rendere il bene.
In sostanza, ci si aspetta che quel “grazie” inneschi un processo di “restituzione” del bene ricevuto.
Attenzione, però. Questo non significa che se facciamo qualcosa per qualcuno allora quel qualcuno sia in obbligo verso di noi. E ce lo suggerisce sempre la parola grazie.
Il dono ricevuto è gratis.
Già. E, udite, udite, quel gratis è figlio proprio della parola grazie. Perché il buon vecchio latino gratiis, indicava in forma contratta il plurale di gratia che voleva dire benevolenza, bontà, dono, e che dunque non prevedeva un pagamento, non prevedeva un qualcosa in cambio di qualcos’altro fatto o detto.
Un gesto di aiuto senza aspettarsi nulla. Un dono, appunto. Ma ringraziare sottintende: “il tuo bene ti tornerà indietro in un’altra forma col mio intervento, in maniera del tutto gratuita”. È insito nel termine gratitudine derivato di grazie.

Insomma, un gesto di bene è gratuito in entrata e in uscita. Qualcosa si fa gratis, senza aspettarsi nulla, e torna indietro gratis.
I benefici, con quel grazie, torneranno indietro come un boomerang.
E quali sono i benefici immediati?
La parola grazie crea immediatamente una benevola disposizione d’animo. Crea affetto. Crea empatia e simpatia. È una vera bomba. Attribuisce al fatto, al detto, al ricevuto, un’impronta di bellezza certa che avrà i suoi ritorni.
“Grazie” è tra le parole di uso quotidiano più positive di tutte.
Dire grazie, e rendere vivo quel grazie, renderlo consapevole, può modificare l’andamento di una giornata o addirittura della vita intera. Ha il potere di rendere benevolo l’animo delle persone.
Torniamo a “graziare”. Perché non era del tutto sbagliato?
Graziare significa liberare da una pena. Che corrisponde, guarda caso, proprio a quel che facciamo quando aiutiamo qualcuno. E proprio per quelle nostre azioni di aiuto, quel qualcuno ci dirà grazie.
Detto tutto questo, ritorniamo a coloro che lamentano la perdita dell’uso del grazie. Ciò che si perde, in realtà, non è la buona prassi o un modo educato di rispondere a un gesto.
“Grazie” non è una cosa come un’abitudine che si può perdere. Semmai, ciò che si perde è la consapevolezza o la conoscenza di quel che si comunica dicendolo.
In tal caso, chi ha ricevuto una forma di aiuto non sa riempire la parola grazie del giusto significato. E finisce per considerare il dono ricevuto atto dovuto. Dire grazie perciò non avrebbe alcun significato.

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