di Marianna Mandato – “Era proprio destino che andasse così”. Eh già. Chi tra i lettori non ha mai proferito una frase simile a questa, alzi la mano. Quante volte ci è capitato di dire frasi come “era proprio destino”, “quei due erano destinati a stare insieme”, “era destino che ci incontrassimo”, “non si può lottare contro il destino”.
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Ecco, non si può lottare contro il destino. E che cosa vuol dire? Perché si dovrebbe pensare di lottare contro un qualcosa che stiamo vivendo? Semplice, perché siamo convinti che quel qualcosa non sia capitato a seguito delle nostre scelte attuali o pregresse ma sia invece opera di qualcosa fuori di noi.

Come se non bastasse, siamo anche convinti che per modificare quella cosa capitata senza il nostro consenso, dovremmo addirittura lottare. Senza comunque cavarne un ragno dal buco. Insomma, tanto vale accettare che, pur lottando per cambiare le cose, il destino ha già deciso per noi come dovrà andare.
Destino, così, equivale più o meno alla sensazione che ci sia un qualcosa, una specie di forza che alberga chissà dove, che regoli o preregoli le nostre vite.
Il destino ci fa sentire a dir poco disarmati, in balia di forze inafferrabili.
Eppure il destino è molto più manipolabile di quanto si immagini. E come sempre ce lo suggerisce la parola.
Cerchiamo di capire, allora, di fare un pochino di luce attorno a questa parola che tutti pronunciamo senza problemi come se sapessimo esattamente di cosa parliamo.
Intanto chiediamoci qual è la sua origine, dove affonda le sue radici.
Ebbene, destino è una diretta discendente della parola greca ìstemi, che vuol dire “stare”, ma che a sua volta contiene la radice indoeuropea sta, che significa proprio “sta”. Dalla stessa radice discende anche la parola latina de-stinare. E in questo caso, il de rafforza lo stare.
Insomma è proprio uno stare a potenza ennesima. Un qualcosa di monolitico che sta in quel modo e basta. Che è così e basta.
Eppure qualcosina non torna.
Per capire perché non torna, facciamoci la solita domanda: può dalla parola destino derivare un verbo? Sì, certo, destinare.
E come si può conciliare una cosa che sta fissa nel suo essere monolitico con qualcosa come un verbo che invece per sua natura implica l’azione e dunque il movimento?
Parrebbe proprio che il destino, per realizzarsi, non voglia che ce ne stiamo fermi ad osservare o ad aspettare che si svolga senza la nostra azione.
Che resti così com’è, offerto come dato di fatto. Pur restando convinti che il destino faccia tutto da solo, pare non sia tanto possibile.
Per sbrogliare il nodo, facciamo allora un passetto indietro. E chiediamoci: di cosa si riempie questa parola per avere senso, quali altre parole accorrono a darle consistenza?
Sicuramente indeterminabile, inaspettato, involontario, incalcolabile, al di fuori di noi, fatalità, sorpresa, inevitabilità.
Ecco. Non determinabile. È forse qui la soluzione? Riflettiamo.
Solitamente la birbona mente umana cerca di sentirsi al sicuro. Pilota l’azione con schemi noti, con conoscenze il più possibile scientifiche, ripetibili, in modo tale da poter gestire e controllare quanto accade o quanto deve accadere. Insomma, ad una certa causa, deve corrispondere un certo effetto.
Ma il destino pare sfuggire a tutto questo. Sì, pare proprio che faccia accadere delle cose di fronte alle quali la nostra mente resta disarmata. È ovvio, allora, che si debba per forza attribuire a questo destino quasi un potere magico. Ed è altrettanta ovvia l’espressione “è opera del destino, non ci si può fare nulla. Altrimenti l’uomo e la sua mente risultano sconfitti.

Ne deriva sicuramente la convinzione che se un qualcosa è opera del destino, beh, allora, siamo esentati dal dare una spiegazione e dal preparare schemi d’azione alternativi per gestire qualcosa.
Ma “quand’è” che ci accorgiamo che qualcosa era destino succedesse? Dopo che è successo. Sembra evidente, allora, che qualcosa è sfuggito al nostro schema di azione. Una specie di imprevisto che si rivela essere un tassello fondamentale nella costruzione del puzzle. E lo chiamiamo destino.
Senza quel tassello, il quadro non avrebbe potuto essere completato. Ma è la nostra azione che ha fatto “capitare” il destino. Il destino non si è “compiuto” da solo. Anche se abbiamo la sensazione che sia capitato all’improvviso.

Insomma, il destino per realizzarsi, per compiersi, ha avuto e ha bisogno di noi. Della nostra azione. Qualcosa capita. Vero. Ma quel qualcosa ha necessità di evolvere in qualcos’altro. Se capita qualcosa che ci fa esclamare “era destino”, quel qualcosa non avrà alcun seguito se noi non lo porteremo a compimento.
Se conosciamo qualcuno che ci fa pensare “era proprio destino che lo conoscessi”, quel qualcuno ce lo perderemo per strada se non continueremo a fare in modo che sia parte della nostra vita.
Insomma, il destino non esiste senza la nostra azione. Peccato. Non possiamo starcene seduti in poltrona ad aspettarlo. La vita, diciamocelo, è sorprendente se le diamo la libertà di manifestarsi in sinergia con noi.
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Ecco perché allora quel verbo “destinare”, che è figlio della parola destino, significa proprio decidere, stabilire, determinare.
E a decidere che direzione dare agli eventi siamo proprio noi.
