di Patrizia Caiffa – “Qui a Teglio abbiamo la segale più antica della Valtellina”: Andrea Fanchi mostra con orgoglio i suoi campi di segale, grano saraceno e orzo, i macchinari per coltivarli e un mulino a pietra moderno per produrre farine. 42 anni, proprietario dell’omonima azienda agricola e presidente dell’Associazione per la coltura del grano saraceno di Teglio e dei cereali antichi tradizionali, Andrea fa l’agricoltore da una ventina d’anni.
“La mia filosofia è vivere con quello che mi dà la terra. La lavoro e la rispetto”.
Una passione che gli è stata trasmessa dai genitori, come pure il desiderio di non disperdere i saperi e i sapori antichi del territorio di Sondrio.
Ascolta “Andrea e i coraggiosi agricoltori che riportano la segale in Valtellina” su Spreaker.
Nello specifico la segale, un cereale che rischiava di scomparire.
L’Università agraria di Milano Bicocca ha infatti studiato le varietà più antiche del territorio, decretandone l’ottima qualità.

Teglio è un grazioso paesino nel bel mezzo della Valtellina, poco distante dalla Svizzera. È rinomato per essere la patria dei pizzoccheri, gustosissime (e caloriche) tagliatelle realizzate con farina di grano saraceno e condite con formaggio latteria, verza e patate. Tipico della zona è anche il pan de ségêl a forma di ciambella o brecadél, fatto con la farina di segale.
Per conservare queste tradizioni è perciò nato il progetto Segale 100% Valtellina“, voluto dall’Unione del Commercio del Turismo e dei Servizi della provincia di Sondrio con l’Associazione Panificatori e Pasticceri, insieme a Coldiretti Sondrio. L’obiettivo è promuovere la produzione di un pane di alta qualità, realizzato con la segale coltivata esclusivamente nella provincia di Sondrio.
Da queste parti viene chiamata ségêl o blá: è buona, salubre e digeribile, a basso indice glicemico. Contiene vitamina E, vitamine del gruppo B, sali minerali, aminoacidi essenziali come lisina e treonina, fibra. La sua storia è antichissima: in Valtellina era nota già tra l’Età del Rame e l’Età del Bronzo. Era coltivata dai contadini a “mezza costa”, e i campi caratterizzavano il paesaggio locale, insieme ai mulini ad acqua, un tempo diffusissimi. Intorno agli anni ’40 le colture vengono abbandonate, sparisce un mestiere praticato per secoli.
Ma ora c’è chi vuole riportare in vita, utilizzando strumenti moderni, queste coltivazioni.
Andrea è tra i 17 agricoltori coinvolti nel progetto, che forniscono cereali e farine alla rete di panificatori che aderisce all’iniziativa.
Con i suoi 5 ettari di terra riesce a produrre ogni anno 100/150 quintali di segale, e quintali di grano saraceno e orzo.

“Vendo prevalentemente la granella, ossia i semi di segale o di grano saraceno, che poi vengono trasformati in farina – spiega a B-Hop magazine -. Però trattengo per me una parte che macino nel mio mulino. Produco e vendo una quarantina di quintali di farina l’anno, apprezzata anche da ristoratori stellati. Inoltre produciamo a mano dei biscotti e li vendiamo nei mercati”.
Come tutti gli agricoltori che aderiscono al progetto Andrea non usa fertilizzanti chimici né pesticidi e ci tiene a fare un prodotto di qualità, a discapito del guadagno, accettando anche le inevitabili intemperie della natura.
“Ho imparato a vivere di quello che la terra mi dà, senza sfruttarla. Quest’anno abbiamo raccolto solo 100 quintali di segale a causa del maltempo, ma va bene così”.
La segale, come pure il grano saraceno, sono cereali delicati. Siccome la spiga è molto alta (può arrivare fino a 2 metri) si può “allettare”, ossia piegare, a causa della pioggia e del vento. In questo modo non matura bene e si raccoglie poco.
La qualità nutritiva di questo cereale è altissima: “Quella raccolta a Teglio ha ottime caratteristiche organolettiche – spiega Andrea -. Contiene tre volte più lisina rispetto alla segale di altre zone”.
Gli stessi campi accolgono una alternanza dei due cereali: “La segale si semina a novembre e si taglia a luglio. Poi ad agosto si semina il grano saraceno, che ha un ciclo di maturazione più breve e si raccoglie ad ottobre. Poi si ricomincia con la segale”. Le sue giornate sono lunghe. “Mi alzo alle 5 del mattino e finisco la sera. Poi ci sono periodi in cui si lavora di più, altri meno”.

Andrea ci guida all’interno del capannone per mostrarci i macchinari per rendere il lavoro più funzionale e leggero: una mietitrebbia arrivata dalla Cina durante il periodo del Covid, una essiccatrice, il trattore con la seminatrice, un macchinario per la pulizia della segale, le celle frigorifere, il mulino rigorosamente in pietra per mantenere le qualità nutrizionali dei cereali, “che si perdono con i mulini industriali a cilindri”. Tutti molto costosi, nell’ordine di decine di migliaia di euro.
“Ora manca solo una macchina per pulire il grano saraceno – dice -. Investo e non mi preoccupo dei debiti perché la passione c’è. Ogni tanto ho momenti di sconforto. Ma
vedere che la gente apprezza i miei prodotti mi ripaga di tutto.
Purtroppo i contributi pubblici sono solo per le grandi aziende, noi difficilmente riusciamo ad accedervi. Anche se a malapena copro le spese riesco a vivere dignitosamente”.

Il suo cruccio è che non tutte le attività commerciali della zona sono in grado di apprezzare la qualità di questi prodotti. Spesso scelgono quelli che costano meno. “Serve un cambiamento culturale, soprattutto tra i ristoratori – osserva -.
Utilizzare prodotti del territorio a km 0 e proporre menù tradizionali.
Invece spesso usano farine industriali o materie prime importate, come la bresaola fatta con la carne di zebù dal Sud America”.

L’ombra nei suoi occhi dura un momento. L’entusiasmo torna appena ci fa vedere le diverse tipologie delle sue farine, di cui va fiero. Ci lascia salutandoci con affabilità e generosità.
- Questo reportage rientra nel progetto “Belle notizie in viaggio in Lombardia: alla scoperta di antiche arti e mestieri che rivivono grazie ai giovani“, con il patrocinio della Fondazione Cariplo.
Leggi anche gli altri reportage:
- Marco, giovane liutaio lombardo che unisce tradizione e innovazione
- Da Milano alla cascina di campagna: l’agriturismo degli “animali felici” di Federica
- Salvaguardare i mais antichi della Valseriana: l’intuizione fortunata di Adriano Galizzi
- Mugnai in un antico mulino ad acqua, la storia di Mattia e Flavio
- Salvare dall’estinzione le pecore ciuta della Valtellina: il progetto di Tommaso