di Patrizia Caiffa – Quando si arriva nel minuscolo borgo di Dovera, in provincia di Cremona, tra i verdi campi di mais della pianura padana, si sente solo il rumore dell’acqua che scorre allegramente sulla ruota di un antico mulino ad acqua dismesso.
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Cerchiamo Marco La Manna, giovane liutaio. Eppure nell’unica via centrale tra le case, paradossalmente chiamata via Folla, non c’è traccia di negozi o laboratori artigianali, né ci sono persone in giro. C’è però un portoncino azzurrino: sopra l’insegna “Museo”, a sinistra la scritta “Mulino Nicoli”, a destra “Antichi mestieri della civiltà contadina”.

Marco, 35 anni, milanese con radici campane, ci accoglie sorridendo e ci porta in quello che definisce “il mio tempio”. In effetti, appena varcata la soglia dei locali del mulino dove un tempo si macinava il mais, sembra di entrare in un’altra epoca. A piano terra sono raccolti centinaia di attrezzi agricoli che erano utilizzati dai contadini per le coltivazioni. C’è un silos, ci sono vecchie foto, è un vero balzo nel tempo.

Ci guida al piano di sopra, nel sottotetto, ed ecco apparire il suo laboratorio, “il luogo che avevo sempre sognato – dice -. Quando l’ho visto per la prima volta ho avuto un mancamento. Cercavo ma non trovavo. Ero talmente disperato che stavo per andare a lavorare negli Stati Uniti. Da allora pago un affitto ai proprietari del mulino, che mi considerano come un figlio”.

Nel laboratorio sono sistemati con ordine e precisione centinaia e centinaia di attrezzi vecchi e nuovi, piccoli e grandi, tanto da chiedersi come farà Marco a ricordarne nomi e funzioni: sono quelli necessari all’arte della liuteria, anche se lui ci tiene a precisare:
“Mi sento più un artigiano che un artista, sono un orso da bottega”.
E’ in questo luogo profumato di legni nostrani ed esotici – acero, abete, palissandro, ebano, cedrella – e di resine pregiate – la gommalacca, il benzoino -, utilizzate come collanti naturali, che Marco trascorre, da solo, anche dodici ore al giorno, in una sorta di trance entusiasta e mistica:
“Quando sono qui il tempo vola, è come una sorta di meditazione”.
Qui dà vita alle sue creazioni: la specialità per cui è conosciuto in diverse parti del mondo sono le chitarre acustiche per il jazz e lo swing gitano.
Il giovane liutaio costruisce anche chitarre di vario genere, violini, mandolini, ukulele, e fa manutenzione e riparazioni di strumenti a corda. “Una volta mi hanno chiesto perfino di riparare un’arpa, danneggiata da un robot per pulire i pavimenti”, racconta.
“Ci vogliono più di 200 ore di lavoro per realizzare a mano una chitarra – spiega a B-Hop magazine -. Riesco a farne circa otto/dieci l’anno. Da quando ho aperto la mia attività, dodici anni fa, ne ho costruite 73”.
Marco ha unito i suoi studi di chitarra classica alla passione per il disegno e per la lavorazione del legno. “Volevo sporcarmi le mani, non fare il musicista – precisa -.
In questo lavoro devi imparare a sentire il legno, che è una materia viva, e a domarlo con le mani.
Più è stagionato, più uno strumento suona bene. I legni belli, invece, sono i più complicati da lavorare”.

Ha studiato sei anni alla Civica Scuola di liuteria a Milano, anche se la vicina Cremona è famosa per la tradizione centenaria che continua a sfornare ottimi liutai: oggi sono circa 200 in tutta la provincia, oltre un migliaio in tutta Italia.
Il made in Italy in questo campo non ha rivali, forse solo un po’ di concorrenza da Germania, Francia, Giappone. Per questo arrivano molte commesse dall’estero. I prezzi, per ogni manufatto, variano da un minimo di 3.800 euro in su, a seconda della tipologia e dei committenti.
Marco lavora contemporaneamente a più strumenti e si entusiasma quando ne descrive i minuziosi aspetti, che per difficoltà e precisione ricordano quelli dell’orafo.
“Questo è un lavoro che non si fa per i soldi ma per passione. Richiede una dedizione totale, anima e corpo. Ci vuole tempo, competenze e una pazienza infinita”.
Prima di costruire uno strumento bisogna fare un cartamodello, come quelli dei sarti. Poi inizia il taglio del legno, prima in forme più grandi, poi sempre più sottili. Bisogna fare i manici, i listelli, la verniciatura, le rifiniture, e tutti gli innumerevoli dettagli e messe a punto che si concludono insieme al cliente, il musicista.

Capita, raramente per fortuna, anche di sbagliare: “Una volta ho fatto un barbecue con una chitarra”, confida. “Questo laboratorio in passato ha visto anche tante lacrime, perché se sbagli e un progetto non si realizza tutto il lavoro va in fumo”.
Anche un settore antico come la liuteria deve coniugare la tradizione con la modernità e l’innovazione.
“Oggi non si può prescindere dal marketing, dalle strategie di comunicazione e dall’uso dei social
– spiega Marco -. Altrimenti non lavori. Bisogna scattare belle foto per la pagina Instagram, tenere aggiornato il sito, parlare con i clienti in videochiamata, contattarli tramite messaggistica”.
“All’inizio della mia attività ho dovuto stringere i denti – prosegue -, anche perché tutto quello che guadagno lo investo nella strumentazione necessaria. Durante il periodo del Covid non è stato facile, ora il fatturato è in crescita grazie ai clienti dall’estero e riesco a vivere dignitosamente”. Basti pensare che per avere un manufatto c’è una lista d’attesa di sei mesi.

Perciò il desiderio attuale è di migliorare la qualità della vita unendo la passione per la liuteria all’hobby dell’arrampicata in montagna, “uno sport molto utile per imparare a raggiungere gli obiettivi”. Il prossimo sarà trasferirsi con la fidanzata, almeno nei mesi estivi, in una baita in uno dei borghi più belli d’Italia, a Rosazza, nel biellese.
- Questo reportage rientra nel progetto “Belle notizie in viaggio in Lombardia: alla scoperta di antiche arti e mestieri che rivivono grazie ai giovani in Lombardia“, con il patrocinio della Fondazione Cariplo.
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