di Samantha Lattaro – Il film documentario “African Dreamers”, disponibile su RaiPlay, racconta le storie straordinarie di cinque donne africane, che invece di lasciare il loro paese d’origine per cercare fortuna altrove, hanno deciso di restare e affrontare le difficoltà senza rinunciare ai loro sogni e alla loro libertà.
Il documentario è scritto, diretto e realizzato dal collettivo di autori di ‘Hic Sunt Leones’.
Non si tratta di un film in quanto, come affermano gli stessi autori, “non c’è nessuna finzione”.
Sono storie vere che parlano della realtà amara dei ragazzi di strada, le cui vite nei paesi di origine hanno il valore della spazzatura.

Bambini che vivono tra i rifiuti e sniffano cenci imbevuti di carburante oppure bottigliette di colla.
Una realtà degradata e pericolosa soprattutto per le bambine, per le quali la vita è ancora più dura in quanto devono cercare di non farsi notare, dato che persino i poliziotti ci giocano e poi le violentano.
Le protagoniste del film documentario, Wangare, Deborah, Grace, Marveille e Mariam sono ragazze semplici, ma vere guerriere che raccontano “pezzi di vita” condivisa. Confidano, con tanta dignità e tutta la forza che caratterizza la sofferenza che hanno patito, le esperienze vissute e le sfide affrontate con estremo coraggio durante i tre anni nei quali gli autori le hanno seguite.

“Alle bambine capitano queste cose” dice Wangare (Nairobi – Kenya), che viene accolta in un centro di accoglienza dove comincia a studiare, ma non ce la fa e dopo poco scappa per tornare alla vita di strada. Dopo tante difficoltà la ritrovano e finalmente con l’aiuto degli educatori riesce ad affrancarsi dalla donna che chiamava nonna, ma che in effetti non lo era e si approfittava dei bambini di strada fingendo di ricoprire questo ruolo familiare.
Dopo lunghe ricerche, con l’aiuto dell’assistente sociale, scoprono la vera nonna, con la quale finalmente si ricongiunge. Ora vive in una casa residenziale per ragazze e va a scuola, continuando a sognare di realizzare il suo sogno: diventare ballerina.
Deborah (Bagamoyo – Tanzania) aveva 14 anni quando ha scelto di lasciare la famiglia di origine per studiare. Dopo un giorno e una notte di viaggio su un autobus, arrivata nella villetta del suo boss tramite un intermediario, ha lavorato ininterrottamente come “lavoratrice domestica” o “serva di casa” pur di pagarsi la scuola e diventare protagonista del proprio futuro. Per tre anni non le verrà concessa l’opportunità di tornare al suo villaggio neanche per far visita al padre gravemente malato. Dovrà infatti attendere il suo funerale per avere il permesso di andare a salutarlo per l’ultima volta. Malgrado tutta questa sofferenza oggi continua a studiare e sogna di diventare un avvocato per difendere i diritti delle ragazze come lei e delle loro madri.
Grace (Kadjado – Kenya) è una ragazza che è orgogliosa di appartenere alla tribù Masai, tribù che vive nelle ampie savane tra il Kenya e la Tanzania. Ma il padre, seguendo le tradizioni della propria cultura, la fa sottoporre alla mutilazione genitale a soli otto anni per darla in sposa ad un uomo molto più grande con altre mogli e figli. Riesce a fuggire da questo amaro destino scappando di casa con l’aiuto della madre. Continuerà a studiare per inseguire il suo sogno di diventare la prima presidente donna del Kenya e contribuire a cambiare la realtà del proprio paese.
Merveille (Bukavu – Congo) da quando era piccolissima si è sentita accusata di essere una strega, aveva solo cinque anni quando la zia le gettò acqua bollente addosso. La portavano nelle camere di preghiera, piccole chiese dove le bambine vengono sottoposte a rituali contro la stregoneria. Suor Natalina cerca di aiutare i bambini in condizioni difficili e le bambine accusate di stregoneria, proteggendole dalla minaccia di venire lapidate o bruciate dalla gente e cercando di aiutarle a perdonare e a recuperare il rapporto con le famiglie di origine.
Il sogno di Merveille è quello di studiare per diventare giornalista, perdonando tutti coloro che le hanno fatto del male. Ora ha 13 anni e vive, grazie all’aiuto di suor Natalina, con una zia che le vuole bene, anche se purtroppo si trova ad affrontare la malaria, che l’ha privata del suo sorriso.
Mariam (Grand Bassam – Costa D’Avorio) usciva con tanti uomini già dall’età di otto anni, nel suo paese lo chiamano “sesso di sopravvivenza”. Ha continuato a farlo fumando e drogandosi ma poi, grazie all’aiuto di un educatore è riuscita ad andare a scuola per studiare cucito dalle suore in collegio. Oggi è orgogliosa del suo atelier, un container giallo vicino alla sua baracca. Finalmente ogni mese ha uno stipendio ed è orgogliosa di se stessa: “ho frequentato così tanti uomini, adesso il mio primo marito è il mio lavoro”, afferma, e poi sorridendo ripete il versetto di una canzone americana che dice “il tempo fa maturare e la speranza fa vivere”.
Il reportage racconta esperienze di vita difficili, sottratte all’oblio e fatte emergere attraverso una pellicola che diventa uno strumento importante, testimonianza accessibile a tutti ed efficace nello svelare realtà che la ragione ci fa pensare lontane, ma che purtroppo sono ancora attuali.

Ma c’è anche un messaggio di speranza che ci incoraggia a credere che con la forza e la tenacia, la perseveranza e l’impegno personale una soluzione è sempre possibile se la si cerca ogni giorno senza mollare mai.