di Massimo Lavena – Il 18 dicembre 2022 diventa per l’Italia intera un giorno di gloria: con la divina vittoria delle maglie azzurre contro le temibili aquile rosse dell’Albania, al termine di una partita mirabolante, conclusasi con il punteggio di 3 a 1, l’Italia porta a casa il suo quinto Campionato del mondo di calcio, confermando il suo dominio nella più gioiosa tradizione sportiva calcistica, trionfando in Qatar davanti a miliardi di telespettatori collegati via satellite e in streaming.
I tanti tifosi italiani accorsi in Qatar da tutto lo stivale, unendosi ai molti compatrioti che vivono e lavorano nella ridente nazione desertica, il cui governo tanto ha fatto e fa per il progresso umano e il superamento dei conflitti sociali e delle discriminazioni, hanno potuto dar sfogo alla loro felicità per aver assistito ad una finale del Campionato del mondo che resterà nella storia: i padri la narreranno ai propri figli tramandandola per l’eternità.
Fiumi di spumante hanno accompagnato robusti panini alla mortadella e golosi salami dal budello verdebiancoerosso sono stati sventolati per le strade di Lusail, avveniristica città spuntata dal nulla tra le sabbie di un villaggio di pescatori, che è stata benedetta dal sudore dei nostri campioni immortali.
I nomi di Grifo, di Meret, di Verratti saranno scritti a caratteri d’oro sui muri del Lusail Iconic Stadium, di fianco ai nomi dei circa 15mila operai che hanno offerto la loro vita, morendo felici sul posto di lavoro mentre costruivano gli 8 avveniristici stadi con i condizionatori, nei quali si son svolte le partite. Sono morti lieti delle condizioni di vita e sicurezza per la gloria sempiterna del Dio pallone e degli Emiri qatarioti.

Durante il giro d’onore, con gli 80mila spettatori in preda a un vero e proprio delirio orgiastico, tra bandiere arcobaleno sventolate in ogni settore dello stadio, e festosi gruppi di camerieri filippini e muratori bengalesi che si abbracciavano felici con i loro datori di lavoro qatarioti, i nobili calciatori italiani hanno poggiato una corona di fiori a centrocampo, inginocchiandosi in preghiera per quei lavoratori morti che gli hanno permesso di sollevare in alto nel cielo la Coppa del Mondo.
Un grande applauso si levava dagli spalti, mentre Gianni Infantino il Presidente della Fifa, massimo organismo calcistico mondiale, consegnava la coppa al capitano azzurro Bonucci: che, in lacrime, ha pubblicamente ringraziato gli Emiri del Qatar e la FIFA per avergli permesso di sollevare la coppa, come nel 1982 fece Dino Zoff e nel 2006 Fabio Cannavaro. E prima di loro nel 1934 fu Giampiero Combi e nel 1938 Giuseppe “Pepìn” Meazza.
Poi, d’un tratto mi son svegliato, tutto sudato e con un profondo senso di angoscia. Non capivo, non avevo mangiato pesante, solo una choucroute e una teglia di tiramisù.
Ma allora, perché quel sogno così strano.
Perché perché perché: l’Italia mica ci andrà ai Mondiali di calcio del Qatar! C’ha sbattuto fuori a suon di corni, pernacchie e scorregge la Macedonia del Nord, per poi non andarci manco lei, tra le sabbie macchiate di sangue del Qatar.
E allora, ben venga questa assenza,
a distanza di 12 anni dalla scandalosa assegnazione dei Mondiali ai petrodollari qatarioti da parte dell’oscena gestione della FIFA dell’allora presidente del calcio mondiale, lo svizzero Sepp Blatter: proprio quello stesso Sepp Blatter che, furibondo per la vittoria dell’Italia ai mondiali del 2006, dopo le vittorie contro la Germania padrona di casa in semifinale e la Francia in finale, cosa che – vox populi – avrebbero causato enormi perdite economiche per i munifici sponsor e per le giocate delle organizzazioni internazionali di scommesse, non si presentò alla cerimonia di premiazione, perché – sempre la vox populi – avrebbe subito un improvviso attacco di diarrea; quello stesso Sepp Blatter che nel 2010 festeggiava la vittoria del Qatar per l’assegnazione dei mondiali 2022 e che oggi, intervistato dice che “fu una scelta pessima”.
Ben venga l’assenza dell’Italietta di Mancini, incapace di rendere onore all’Europeo trionfalmente vinto nel 2021, che non parteciperà a questa vergognosa kermesse asservita al dio denaro e la cui dimensione sportiva passa clamorosamente in secondo piano.

Eppure: tutto il mondo nel 2010 conosceva le violazioni dei diritti umani in Qatar, lo sfruttamento dei lavoratori emigrati, impiegati nelle avveniristiche realizzazioni edilizie in mezzo al deserto. Amnesty international pubblicò un memorandum in cui denunciava, tra le altre cose, le discriminazioni della comunità Lgbt e delle donne e l’uso istituzionalizzato degli arresti ingiustificati e della tortura.
Eppure: a parte pochi esponenti del mondo del calcio, praticamente nessuno dei grandi dirigenti sportivi mondiali e neanche del Comitato Internazionale Olimpico, ha stigmatizzato la situazione del Qatar.
Adesso qualche giocatore che si troverà a dover giocare in quegli stadi cattedrali nel deserto, il cui cemento è stato impastato con il sangue di almeno 15mila operai morti durante i frenetici lavori di costruzione, si è schierato con affermazioni al limite del risibile, perché nessuno ha dichiarato “se mi dovessero convocare per i Mondiali in Qatar non ci andrò per rispetto degli operai morti e per protestare contro le discriminazioni degli omosessuali”.
Si sono schierate alcune tifoserie popolari di qualche squadra: in Italia la Roma, il Bologna, la Lazio, il Pisa, il Cosenza, in Germania Borussia Dortmund, Hertha Berlino, Arminia Bielefeld, Bayern Monaco, Kaiserslautern, Friburgo, in Francia i tifosi dell’Auxerre (giocando in casa del PSG di proprietà qatariota), in Spagna quelli del Siviglia,, in Danimarca gli ultras dell’Aalborg. Gli striscioni con la scritta “Boycott Qatar 2022” però, sono comparsi solo in queste ultime settimane, salvo qualche raro precedente sprazzo di protesta.

Eppure: nessuna federazione nazionale si è schierata contro i Mondiali del Qatar 2022 in questi lunghi 12 anni. E tanto meno nessuna federazione ha pensato di boicottare i Mondiali dopo aver conseguito l’agognata qualificazione. Figuriamoci: soldi soldi soldi. L’odore dei soldi, in questo caso lordi di sangue e violenza, ha inebriato tutti, soprattutto la FIFA.
Ma adesso iniziano i problemi con il divieto di vendita di birra negli stadi, con il main sponsor Budweiser furibondo con tutti e che potrebbe far saltare un succulento contributo di 75 milioni di dollari alla FIFA, per ogni quadriennio mondiale, per la pubblicità negli stadi e per la vendita esclusiva, ora vietata, negli stessi. Patata bollente per Gianni Infantino e i suoi fedelissimi che per ora stanno pilatescamente lavandosi le mani, come hanno fatto per tutti questi anni.
Eppure: c’è anche il problema della nazionale dell’Iran, Paese dove la rivolta contro la dittatura degli ayatollah scaturita dalla morte di Mahsa Amini sta ingigantendosi sempre più, al pari della violentissima repressione contro le donne senza velo, i giovani studenti, i mariti e i padri che scendono in strada per difendere le loro mogli e figlie. E i giocatori Iraniani stanno decidendo se cantare e onorare l’inno della repubblica islamica, consci delle conseguenze che potrebbero accadere. E poi, cosa faranno? E c’è il problema del prosciutto che i poveri giocatori spagnoli non potranno mangiare per il divieto di quei “cattivoni” di qatarioti.
Eppure: quanti farisei, quanti Pilato stanno oggi aprendo bocca. L’ipocrisia scorre sovrana in questi giorni, parlano tutti, è un profluvio di: “Bisognava controllare; avremmo dovuto non assegnarlo al Qatar; poveri operai; poveri omosessuali; cattivi gli Emiri”, ci sono calciatori che sono restati zitti sino a oggi e che adesso hanno scrupoli di coscienza e si struggono, sempre però senza dire che loro in Qatar non ci andranno.
Ma molto meglio l’onestà di personaggi come il portiere della Francia Lloris, che non metterà la fascia da capitano della sua nazionale con la bandiera arcobaleno, per rispetto delle leggi e delle tradizioni del Paese. In pratica, poiché l’omosessualità è vietata e perseguita in Qatar, lui non prenderà posizione pubblicamente contro il mancato rispetto dei diritti umani: quattro calci al pallone e via.
Eppure: tutto ciò fa scemare nel baratro il senso sportivo delle partite nel deserto dell’Emirato del Qatar.
Da sportivo, ammetto, sarà difficile non tifare Senegal, la squadra che ho scelto di supportare. Sarà difficile non guardare qualche partita. Resto indifferente al fatto che, per l’incapacità pallonara italiana, gli azzurri non siano lì, a giocare.
Purtroppo l’esperienza del Qatar è una ferita che resterà aperta per tanto tempo, di difficile cura. Troppo gravi le colpe di chi ha permesso tutto questo, per la gloria di Mammona e dei farisei della FIFA.
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