dalla nostra corrispondente ad Atene – I profughi che giungono in Grecia (leggi qui la prima parte del reportage) sono afghani, ma soprattutto siriani, in fuga da una guerra fratricida che dal 2011 insanguina le case, le strade, le piazze, la terra del loro Paese e che ha provocato centinaia di migliaia di morti e milioni di sfollati.
Guardare Whael significa guardare il negativo fotografico di un siriano: occhi chiari, capelli biondi, pelle candida. Il prototipo di un principe azzurro occidentale, capitato per caso in scenari tipici da Mille e una notte. Giusto il naso importante, orientale, tradisce le sue origini. Ha ventitré anni, doveva finire l’ultimo anno della facoltà di economia. Ma la guerra gli ha strappato via la laurea insieme alla sua casa ad Aleppo.
“Fortunatamente la mia famiglia sta bene” racconta a b-hop. “Mio padre, mia madre e le mie sorelle hanno trovato ospitalità nell’appartamento di mio zio. La nostra casa, infatti, insieme ai due negozi che avevamo in centro ad Aleppo sono andati perduti: la prima, l’hanno presa i ribelli, i negozi invece i gruppi armati di Al-Nusra”.
Whael è arrivato tre giorni fa ad Atene insieme ai suoi amici Tamer e George. Sono tutti e tre cristiani, prima della guerra collaboravano con i gesuiti siriani del JRS, il Jesuits Refugees Service. “Siamo partiti con un gommone da Izmir, dalla Turchia. Volevamo raggiungere la Grecia. Ma il gommone è affondato subito dopo partiti, a 400 metri dalla riva” continua George, anche lui poco più che ventenne.
“Eravamo una quindicina e con noi c’erano anche una donna incinta e un bambino piccolo. Li abbiamo salvati entrambi, non sapevano nuotare, ma il padre del bambino era un tipo rude, non ci ha neanche ringraziato”. Il viaggio dalla Siria alla Turchia è costato un vero tesoro: circa 20 mila dollari a testa, ai quali si aggiungono i 3 mila e cinquecento del biglietto della nave per la Grecia.
“Dopo che il gommone è affondato ci siamo messi una gran paura”, racconta Whael, “per questo abbiamo scelto di pagare il biglietto su una nave turistica che ci ha traghettato fino a Kos. Ora i soldi rimasti sono davvero pochi, il necessario per raggiungere l’Olanda. Lì sarà possibile avere velocemente un documento che attesti il nostro status di rifugiati”.
I tre ragazzi sono ospitati nella casa vescovile di padre Joseph Bouzouzi, amministratore dell’Ordinariato Cattolico Armeno. Per uno strano caso del destino anche lui è siriano, originario di Aleppo, prete che dal maggio scorso è stato inviato dalla sua Chiesa ad amministrare, in Grecia, la sede vescovile armena vacante. Da quando è arrivato ad Atene, padre Joseph ha spalancato le porte della casa episcopale, nel centrale quartiere di Neos Kosmos, all’accoglienza di famiglie cristiane siriane in fuga da una guerra che, anche lui, conosce da vicino. “I siriani, una volta arrivati ad Atene si fermano pochissimo” dice padre Joseph. “Giusto un giorno o due di riposo prima di salire su un pullman che li porterà al confine con la FYROM, con la Macedonia. Poi da lì inizierà un lungo e difficile cammino attraverso i Balcani, per raggiungere la salvezza, incarnata soprattutto dalla Germania”.
Whael, Tamer e George hanno preso un pullman per la Macedonia, insieme ad altri siriani che vivevano nel quartiere di Neos Kosmos. Padre Joseph ha indetto una messa straordinaria alla 10.30 di sera per benedire il loro lungo viaggio. Le pareti ocra della chiesa risuonano delle dolci parole aspirate, tipiche della lingua armena. La messa sembra una delicata nenia della buona notte, cantata da un padre premuroso che con la fermezza degli uomini di Dio, scaccia gli spiriti maligni dal sonno dei suoi figli.
Whael, Tamer e George viaggeranno tutta la notte, e domani si sveglieranno in un nuovo paese, ancora una volta.
Kalò taxidi, buon viaggio ragazzi.