Una catastrofe ecologica dimenticata ma 85 volte peggiore della fuoriuscita di petrolio della British Petroleum nel Golfo del Messico e 18 volte il disastro della Exxon Valdez nelle coste dell’Alaska. Tra il 1964 e il 1990 la multinazionale petrolifera Chevron-Texaco ha estratto petrolio nella foresta amazzonica in Ecuador, adottando standard di sicurezza del tutto inefficaci. Nell’arco di 26 anni il danno alle comunità amazzoniche è stato incalcolabile.
Oltre 63 milioni di litri di greggio sversati nei fiumi, 70 milioni di litri di acque tossiche e cancerogene riversati nelle falde, 35 miliardi di metri cubi di gas combusto immessi nell’atmosfera. Il petrolio ha contaminato le terre, l’aria e le case. Gli abitanti amazzonici delle province di Orellana e Sucumbíos hanno una percentuale di malati di cancro tre volte superiore al resto del paese.
Saranno a Roma domani per raccontare questa vicenda drammatica e parlare di crimini ambientali e clima, in coincidenza con la chiusura della Cop21 a Parigi, due autorevoli testimoni dall’Ecuador: Humberto Piaguaje, dirigente indigeno Secoya e coordinatore della UDAPT, l’Associazione delle vittime del petrolio, con Pablo Fajardo Mendo, avvocato e difensore nel processo Chevron/Texaco.
La storia: La Texaco, acquisita dalla Chevron nel 2001, iniziò a perforare l’Amazzonia al nord dell’Ecuador, nelle province di Sucumbios e Orellana, grazie a una concessione del Governo nel 1964. Abbandonò la zona nel 1990 e lasciò lo sfruttamento alla Petroecuador. In quella zona vivevano almeno cinque tribù indigene, due di queste, Tetetes e Sansahuaris, sono scomparse per sempre. L’avvelenamento dei fiumi ha ucciso la pesca. Il resto delle tribù passò dall’economia di sussistenza nella selva alla miseria dell’economia di mercato, lavorando per l’industria petrolifera.
La Texaco perforò 356 pozzi di petrolio nell’Amazzonia ecuadoriana. Per ogni pozzo che perforava costruiva quattro o cinque piscine per eliminare i rifiuti tossici, il più vicino possibile a un fiume, per disfarsi delle scorie in maniera semplice ed economica. Così, il problema del suolo si spostò all’acqua. Quest’acqua conteneva zolfo e altri elementi tossici derivati dal contatto con il petrolio. Evaporando, cadeva sulla selva sotto forma di pioggia acida. La terra, l’acqua e l’aria sanno di petrolio.
I 30.000 abitanti amazzonici vittime del disastro ambientale delle Chevron-Texaco si sono costituiti in una associazione, la Unión de Afectados y Afectadas por las Operaciones de Texaco (UDAPT) per creare una rete mondiale di solidarietà e di mobilitazione. Oggi possiamo ascoltare la loro voce.