di Emanuela Arabito – “Abbiamo bisogno di 4 abbracci al giorno per sopravvivere, 8 abbracci per mantenerci in salute, di 12 invece per vivere” (Virginia Satir, psicoterapeuta).
Ascolta “Tango ciego, non vedenti e vedenti condividono la pista da ballo” su Spreaker.
Tango e abbraccio, da sempre, vanno insieme. La passione con cui Al Pacino balla avvinghiato a Gabrielle Anwar in Scent of a woman (1992), sulle note di Por una cabeza di Carlos Gardel, gli è valsa un Oscar e due Golden Globes.
Impersonava un ex colonnello cieco da anni per un’esplosione e il film era un remake di Profumo di donna (1974) di Dino Risi, con Vittorio Gassman, anche lui vincitore di premi (David di Donatello, Nastro d’Argento e Festival di Cannes). Finzione cinematografica? O finzione letteraria, visto che all’origine c’era un romanzo (“Il buio e il miele” di Giovanni Arpino)? Né l’una né l’altra.
Tango e disabilità visiva hanno cessato di essere due mondi paralleli destinati a non incontrarsi.
I primi esperimenti di corsi di tango per ipovedenti e non vedenti sono cominciati nel 2009.
Verona, Torino, Trento, Venezia, Ascoli, Messina, Roma. Corsi di Tango ciego (un ossimoro solo in apparenza) ed eventi di Milonga al buio.

All’inizio i protagonisti erano un po’ titubanti. Le persone ipovedenti o non vedenti sono portate a tastare il terreno per evitare eventuali ostacoli, usando il bastone. Oppure a mettere avanti le mani, spostando il baricentro del corpo all’indietro.
Esattamente il contrario di quanto avviene nel tango, dove la postura ha un leggero spostamento del baricentro in avanti. La soluzione, spiegano i maestri, consiste nello spostare tutto dall’aspetto visivo a quello sensoriale, tattile, che è l’essenza stessa del tango, basato soprattutto sulla comunicazione corporea.
Per un disabile visivo, il tatto è il modo primario di conoscere la realtà, di percepirne le forme e le loro posizioni nello spazio. Una fisicità che viene messa in gioco nell’apprendimento del tango: per capire meglio la posizione delle gambe, delle braccia e della testa, l’allievo non vedente tocca il corpo del maestro.
“Il tango – diceva Enrique Santos Discepolo, autore di tanghi – è un pensiero triste che si balla”.
Una definizione che non piaceva a Jorge Luis Borges: si doveva parlare non di pensiero, ma di emozione. E l’aggettivo triste, scriveva, «non si addiceva certo ai primi tanghi».
Nelle milonghe al buio, quel pensiero – o quell’emozione – si balla a occhi chiusi.
Del resto sono tante le ballerine di tango che quando ballano, chiudono gli occhi per concentrarsi nei passi, nella musica, nei movimenti del partner o semplicemente per assaporare il piacere che fa muovere il corpo a suon di musica.
Emiliano Naticchioni, ideatore del Progetto TangoFog, patrocinato dall’Ambasciata Argentina e maestro di Tango Ciego dal 2018 all’Istituto Sant’Alessio per non vedenti di Roma, racconta la sua esperienza.
“Per i non vedenti. il tango è un’occasione per migliorare la loro consapevolezza corporea, il movimento e la gestione dello spazio. Favorisce l’inclusione e insegna ad abbattere i muri, superando il limite della cecità”.
Da qui, il nome Tango FOG : una metafora che simboleggia che la nebbia, attraverso il ballo, può dissolversi.
Ballando, ci si apre a un dialogo – oltre l’handicap – con chi si ha di fronte.
Non è solo una lezione di tango, ma un momento di intensa comunicazione corporea che accresce la fiducia in se stessi, la socializzazione e l’integrazione. Non sono corsi solo per “disabili” visivi: il TangoFog è aperto a tutti, vedenti e non.
Anche alla “Milonga Pareja Ciega” partecipano ballerini non vedenti e vedenti, disposti a mettersi in gioco. Aiutano l’altro nell’orientamento, ne condividono emozioni, difficoltà e insicurezze.
E in pista le differenze fra chi vede e chi no, per incanto, si attenuano.
Emiliano Naticchioni, maestro di Tango CiegoNon potendo utilizzare la Mirada e il Cabezeo (cioè i giochi di sguardi che invitano al tango) si sta cercando di porvi rimedio: “Stiamo provando a codificare le modalità dell’invito – dice il maestro Naticchioni – e sta funzionando. Certo, è una sfida forte anche per noi insegnanti: insegnare la postura, a camminare in linea, ma ce la stiamo facendo. Già dopo 5 mesi i miei allievi hanno ballato all’esterno, sotto i portici di Piazza Vittorio e hanno fatto uno spettacolo all’Accademia Nazionale di Danza. E’ stato fantastico”.
Come si sostiene questo progetto? “Con le iscrizioni ai corsi dei ballerini vedenti, o grazie agli eventi organizzati dalla nostra scuola (“RiesgoDeTango“). Fra questi, uno molto particolare è la Cena Sensorial: si mangia bendati a lume di candela e dopo c’è la milonga. Insomma, è un percorso difficile anche emozionalmente, ma arricchisce entrambi, vedenti e non vedenti. Arriva qualcosa di diverso ad ognuno. Forse ricevono ancora di più i vedenti, dei non vedenti. Scopri un bagaglio importante, qualcosa su te stesso che non sospettavi. Ci lavori. Ed è una cosa bella da fare”.
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