di Tiziana Caroselli – Lui musicista sempre in tournée, lei, dopo aver frequentato la Marangoni Fashion School, proiettata nel mondo della moda. Entrambi pugliesi, figli di emigrati in Svizzera, Daniele e Gabriella si conoscono a Milano, dopo poco si sposano e decidono di abbandonare i rispettivi percorsi professionali per inseguire un sogno comune: mettere su un pastificio e tornare in Salento, a Parabita, nel leccese, terra d’origine di entrambi.
“Stavo suonando a Napoli e uno del gruppo mi invitò a visitare il piccolo pastificio di suo padre. Mi piacque il profumo del grano e capii che quello sarebbe stato il mio futuro.
“‘Il terziario è finito, torniamo giù e restituiamo qualcosa alla nostra terra’ dissi a Gabriella che abbracciò subito questo progetto un poco folle” racconta a B-hop magazine Daniele, pastaio filosofo che ama citazioni e riferimenti letterari. Nasce così la pasta artigianale Del Duca. Un marchio che non è il cognome né dell’uno né dell’altra ma rende omaggio a vecchie, e mai sopite, passioni: Duke Ellington e l’altro grande duca della musica, David Bowie.
Il cambio di rotta naturalmente non avviene da un giorno all’altro.
“Cenere sulla testa e partire da zero. Un mestiere nuovo a 30-35 anni ti costringe a studiare. Ci siamo messi a farlo come forsennati. Ad analizzare la materia prima, il grano, come reagiva, come si comportava a contatto con l’acqua piuttosto che con il calore. Finché ci siamo sentiti pronti“ spiega l’eclettico Daniele Marsano (istituto d’arte, Scienze bancarie a Siena di pari passo con la passione per pianoforte e sax) che non si fa certo pregare per rievocare gli esordi della sua piccola azienda che, a 20 anni dal debutto, è diventata una nicchia di eccellenza.
Si usano soltanto grani italiani selezionati, la pasta viene trafilata in bronzo ed essiccata distesa a 40 gradi, per almeno 25 ore, per non stressare il reticolo proteico e garantire una perfetta tenuta degli amidi nella cottura.
Tanti i formati proposti, dalle orecchiette alle fettuccine, anche aromatizzati: nero di seppia, curry, limone e pepe, arancia e carota…. I prodotti, 60/80 tonnellate l’anno prima della pandemia, si vendono pure all’estero (Francia, Belgio e Olanda i paesi con più clienti), per lo più ai ristoratori (85%).
Ed è per questo che Daniele e Gabriella, con l’arrivo del Covid, la crisi dei ristoranti e un calo del fatturato del 32,8%, sono stati costretti a mettere in cassa integrazione gli unici due dipendenti che avevano. “Ma le cose cominciano ad andare meglio e appena possibile li riprenderemo a lavorare con noi”.
L’intraprendente coppia non punta a entrare nella grande distribuzione, non vende on line e non ha neppure uno spaccio aziendale.
”Non siamo anti-progressisti, la meccanizzazione del packaging, ad esempio, la facciamo, ma non scegliamo scorciatoie, Il rispetto della materia prima lo anteponiamo a tutto” .
I figli, 13 e 16 anni, un maschio e una femmina, sono ancora troppo piccoli per pensare a un loro coinvolgimento nell’impresa. “Faranno quello che vogliono, seguiranno la loro strada” assicura Gabriella, meno loquace del marito ma colonna portante di questa piccola impresa sentimentale.