di Massimo Lavena – Quando vedrete un simpatico signore con barba, baffi, cappello d’ordinanza, brillanti occhi azzurri che fanno da corona a un sorriso solare, quando vedrete questo signore sulla sua bici che è anche libreria, teatro, scuola e tanta fantasia fermatevi: è sicuramente Michele Volpi con la sua Liberbici.
Perugino ma cittadino di tanti borghi, vallate e città, porta libri e incontra bambini e adulti parlando di come sia bello e divertente leggere, leggere insieme, leggere giocando e leggere imparando.
Michele apre la sua arte che è fatta di autorialità e di interpretazione. Con la sua voce e la corporeità accompagna il suo pubblico nel mondo delle parole scritte e di quelle, tante, che ancora sono da scrivere e da leggere.

Parola. Mimesi. Colori. Giochi e libri. E al centro bambini e ragazzini che interagiscono con la narrazione divenendone attori e creatori. Spiegaci il miracolo.
La premessa d’obbligo è che
con la LiberBici mi muovo in un territorio fluido, tra la promozione della lettura pura e semplice e le arti performative.
Per questo, cerco di dare più spazio possibile ai libri e alle storie, perché il mio primo obiettivo è quello di indicare agli spettatori (adulti, ancor prima che bambini e ragazzi) che la mia è un’azione ripetibile a casa, a scuola o in qualsiasi altro spazio educativo:
leggere ai bambini non deve essere percepita come un’attività spettacolare, extra-ordinaria, bensì come qualcosa di assolutamente normale (oltre che necessario),
in modo che possa diventare un’azione quotidiana da replicare in qualsiasi momento da parte di chiunque. Allo tempo stesso, dovendo affrontare pubblici molto diversi fra di loro per numero, età, abitudine all’ascolto e esposizione alla lettura, utilizzo tecniche ed elementi propri del teatro di narrazione, dalla prosodia e l’uso espressivo della vocalità alla prossemica dell’atto comunicativo.
Senza disdegnare il supporto di strumentazioni (microfono, loop-station, musiche e amplificatori).

Venendo alle definizioni e prendendo a prestito le parole della mia pagina fb:
“La LiberBici è una libreria a pedali che porta per strade, piazze, parchi e città letture di albi illustrati e narrazioni di storie per le infanzie di tutte le età, alle quali spesso si accompagnano attività di formazione a educatori, insegnanti e genitori sulla promozione della lettura in età precoce”.
In realtà, sento che questa definizione è limitata, perché la LiberBici, prima di essere oggetto o luogo fisico, è un luogo della mente, una visione che si è andata a comporre in più di dieci anni di attività, definendosi negli ultimi quattro. La stessa fisionomia della bicicletta-con-carrello si è modificata più volte, fino a trovare una forma definitiva a fine 2020.
E così il mio progetto e la mia visione, arricchiti dall’adesione al Barbonaggio Teatrale di Ippolito Chiarello (attore e regista salentino) coincidono, oggi, con gli obiettivi di alcuni fra i più importanti programmi nazionali di promozione della lettura: leggere ad alta voce come azione educativa e di democrazia cognitiva che, incontrando bambini, famiglie ed insegnanti anche al di fuori dei luoghi deputati alla cultura e all’educazione, possa avere un impatto sulla società, innescando il cambiamento sociale.
Per questo, pur occupandomi di teatro di narrazione anche per ragazzi, rivolgo principalmente la mia attività di promotore della lettura alla fascia d’età 0-6 e 6-10 anni.

La LiberBici unisce la fisicità di un territorio da incontrare e conoscere all’attorialità: come ti poni coi tuoi piccoli alter ego e come la bicicletta ti offre la possibilità di “trasformarti” in favola itinerante?
Per quanto riguarda la scelta dei libri e delle storie, una gran parte del mio lavoro consiste proprio nello scegliere i “libri giusti” e far sì che incontrino i “giusti lettori”. Per questo, il carrello della LiberBici può arrivare a contenere oltre un centinaio di libri per ogni “viaggio”: la scaletta delle letture non è mai fissa e la decido sul momento, in base al pubblico che mi trovo di fronte e in base alla sua “temperatura emotiva”, momento per momento.
Riassumendo e semplificando all’estremo, le macro-categorie di libri che utilizzo sempre e comunque sono due: quelli che favoriscono l’interazione con il pubblico (“libri gioco”, albi illustrati con finestrelle buchi e alette, libri in rima, etc.) e quelli che richiedono un ascolto più intimo e raccolto.
Soprattutto nel secondo caso, così come avviene nel teatro di narrazione, ciascun singolo spettatore costruirà la propria storia all’interno della propria testa, attingendo a un immaginario e ad una capacità immaginativa unici e personali.
Rispetto al “miracolo” che, a volte, sembra accadere, ovvero bambini e adulti che per un’ora e oltre restano avvinti e calamitati da un’attività apparentemente semplice come quella della lettura ad alta voce, è presto spiegato.
Capita spesso, infatti, che al termine di una lettura per bambini uno o più adulti (mamme, papà, insegnanti), vengano da me meravigliati e mi dicano qualcosa come: “Incredibile, li hai tenuti attenti per un’ora, bravissimo. Ma come hai fatto?”.

La risposta è semplice e ce la dà, fra gli altri, Jonathan Gottschall nel suo “L’ istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani”: Gottschall sostiene la natura “istintiva” dell’attitudine a narrare storie; questa attitudine non ha avuto solo una funzione positiva dal punto di vista dell’evoluzione della specie umana (raccontare e raccontarsi, infatti, è una prerogativa esclusiva dell’homo sapiens e, probabilmente, un segno del suo vantaggio sulle altre specie, paragonabile allo sviluppo del pollice opponibile), ma ha consentito all’uomo di sviluppare una società, di affrontare il bene e il male, di vivere una serie di situazioni che gli hanno dato la possibilità di sperimentare i caratteri dell’esistenza senza viverli direttamente.
È un po’ quello che accade ai bambini, quando giocano a combattere mostri o a cullare un bambolotto. In realtà non stanno solo giocando, bensì stanno anche inventando delle storie.
In questo modo, senza saperlo, si preparano a vivere la vita, indipendentemente dal fatto che da adulti dovranno effettivamente affrontare dei mostri o allevare dei figli. In tutto questo
io cerco soltanto, con la mia espressività e l’uso di tecniche vocali messe al servizio di una recitazione naturale, di non “disturbare troppo” la storia, la narrazione e i suoi accadimenti.
La LiberBici trasporta, oltre che libri, una cassa preamplificata, una loop-station e un microfono, una batteria in grado di fornirmi corrente elettrica in qualsiasi circostanza e svariati metri di cavi e prolunghe. Oltre che due teli colorati che, all’occorrenza, possono diventare coperte su cui appoggiare i libri e/o fondale.
“Mi chiamo Paolo.” è la nuova avventura che racconta di calcio, palloni bucati, vendette e difficoltà umane. I temi sono importanti: l’altro, la fragilità, l’accettazione, i sentimenti e le paure nascoste. Come ti poni coi tuoi amici spettatori e che ruolo gioca la teatralità nel trasferire il messaggio?
La narrazione “Mi chiamo Paolo.” si inserisce in un progetto più ampio, prodotto dalla Compagnia Nonsoloteatro di Torino, sotto la direzione artistica dell’attore, autore e regista Guido Castiglia. In particolare, “Mi chiamo Paolo.” fa parte del progetto spettacolare “Incursioni Emotive”, che si compone di cinque narrazioni scritte e interpretate da altrettanti attori-autori, dedicate a preadolescenti e adolescenti, per indagare diverse tematiche legate al tema più ampio della fragilità nell’adolescenza.
Il rapporto con gli spettatori è molto chiaro e, per così dire, “differenziato” in due parti. Nella prima, metto in corpo e in scena la mia narrazione, senza alcuna interazione con il pubblico che non sia quella scaturita dalla voce e dalle azioni che avvengono in scena.
Nella seconda parte, che dura circa mezz’ora, apro un dibattito con il pubblico di ragazzi e adulti (famiglie o insegnanti, a seconda dei casi). Anche qui, nulla è lasciato al caso. Naturalmente non so quali potranno essere le domande e gli interventi dei ragazzi e delle ragazze presenti di volta in volta. Ma so perfettamente dove condurli, quali tematiche affrontare e come affrontarle.
Le tematiche sono quelle trattate nello spettacolo: bullismo, equità e inclusione sociale, fragilità e, soprattutto, accettazione sociale e accettazione di sé. Lascio che queste emergano liberamente nella discussione, per cui non so mai cosa verrà trattato prima e cosa dopo. Tuttavia, riesco in qualche modo a portare il pubblico a riflettere con la propria testa e, allo stesso tempo, lascio intendere quella che è la mia visione sugli argomenti specifici.
Nella prima fase, quella dello spettacolo, è il narratore che parla, racconta, descrive i personaggi (a volte persino incarnandoli) e le loro vicissitudini. Ciascuno spettatore costruisce nella sua testa la storia e i propri significati. Perciò, il narratore rimane sempre esterno alla vicenda e non prende le parti di qualcuno in particolare, entrando solo brevemente ora nel punto di vista di Paolo, il protagonista, ora nel punto di vista degli altri personaggi oppure, più spesso, rimanendo neutro di fronte alle loro vicende. Nella seconda fase parla l’attore e, soprattutto, l’autore del testo: in questo caso, è importante che i ragazzi, pur lasciati liberi di esprimere le proprie opinioni, conoscano con sincerità e schiettezza i miei pensieri al riguardo.
Liberbici in collegamento via web durante il lockdown Nuovi progetti, riprese post pandemia?
Da circa tre anni collaboro con il musicista Emilio Gabellieri, cantante e beat-boxer, il quale, grazie allo studio dell’armonia e della polifonia vocale, aiutandosi con una loop-station, realizza composizioni in cui una sola persona riesce a trasformarsi in un’intera orchestra. L’ultimo lavoro ha riguardato il recupero e il riadattamento di favole tradizionali africane ed è rivolto a bambini da 3 a 6 anni. Le narrazioni si arricchiscono dei suoni della natura e di ritmi e canzoni tribali, che aiutano i bambini (e gli adulti) ad entrare gradualmente nella struttura del racconto e a compiere, insieme, un viaggio coinvolgente e sorprendente.
Infine, durante la pandemia ho aderito al Barbonaggio Teatrale Delivery, naturale evoluzione del Barbonaggio Teatrale di Ippolito Chiarello: insieme ad altri 60 artisti abbiamo costituito delle USCA, Unità Speciali di Continuità Artistica, portando il teatro sotto i balconi delle case anche durante le fasi di lockdown.
Questa nuova modalità mi ha fatto scoprire un rapporto ancora più diretto e intimo con il pubblico, per questo l’idea è quella di continuare a proporre l’attività di “rider teatrale” anche in futuro, a prescindere dall’emergenza pandemica. Fra l’altro, l’interesse suscitato da questa esperienza mi ha consentito di raccogliere donazioni di singoli cittadini e cittadine, dall’Italia ma anche dalla Svizzera e dagli Stati Uniti, i quali hanno lasciato degli “spettacoli sospesi” per chi ne avesse bisogno. La mia scelta è stata quella di regalare le mie performance a dei gruppi di bambini e adolescenti (e, in alcuni casi, alle loro madri) residenti in comunità educative del territorio umbro, come il Centro Anti-Violenza di Perugia e altre comunità mamma-bambino di Assisi, Marsciano e Compignano.
Sta prendendo forma ultimamente anche un nuovo corso. Per ora non posso anticiparvi troppo, ma a breve pubblicheremo il programma completo di questo nuovo corso interamente dedicato ai papà, alla genitorialità e alla lettura ad alta voce, che avrà la classica diffusione social.
In ambito autoriale, in questo momento sto lavorando alla stesura di altre due narrazioni teatrali, entrambe per la fascia d’età 6-10 anni: la prima è una rivisitazione in chiave contemporanea della fiaba di Pollicino; l’altra prende spunto da una favola moderna che, attraverso la metafora del mondo animale, affronta i temi della rabbia, del potere e della sopraffazione, contrapposti alla gentilezza e alla collaborazione, nella convinzione che un altro mondo sia possibile, specialmente se si creano narrazioni e rappresentazioni diverse, che abituino fin da piccoli ad uno sguardo divergente e critico rispetto alla realtà che ci circonda.