di Massimo Lavena – Una mamma campionessa di windsurf; ma anche una giornalista campionessa di windsurf; e pure una skipper culturale campionessa di windsurf; come, peraltro una artista di strada campionessa di windsurf; e inoltre una giurista parlamentarista campionessa di windsurf; e romanziera fotoreporter campionessa di windsurf, il tutto racchiuso in un cognome: Clarkson, che evoca mondi lontani e viaggiatori delle grandi nebbie e un nome, Giulia, che richiama potenza, eleganza, motori rombanti, rosso imperiale e vento, tanto vento tagliato dalle vele, decorato dalle gocce dell’acqua increspata da una tavola, giostrata con l’equilibrio di una artista che ha fatto, della curiosità della vita e del mondo, un punto dal quale partire e ripartire e scattare e poi fermarsi a rifiatare e poi via di nuovo. Cagliaritana, con antenati inglesi illustri.
Seguendo l’odore del vento dove sei arrivata Giulia?
Il vento mi accompagna da quando sono bambina. Ho imparato a riconoscerne odore e qualità. Ho tenuto il timone di una barca a vela per la prima volta all’età di 6 anni grazie ai cugini materni, i miei primi maestri di vela. Ma non credo che si arrivi da nessuna parte a seguire l’odore del vento, se non alla capacità di apprezzarlo.
Amare il vento è amare il mare e la libertà.
I risultati agonistici di quest’anno sono di certo anche una reazione alle gabbie generate dalla pandemia.

Un cammino umano di continua scoperta e cammini diversi: mare, strade, libri, giochi. Qual è il filo comune che li lega? Quale Giulia ti chiama oggi?
Il filo potrebbe essere la testardaggine con cui ho lottato per non dover smettere di arrampicarmi dentro la fluidità del presente. La creatività è delle parole e del corpo, investe la scrittura come destinazione ultima dell’esperienza del vivere e abbraccia imprescindibilmente l’energia anche fisica. Il mare mi dà forza, libertà e benessere. Sul mare scrivo, sperimento la mia capacità organizzativa e condivido con gli altri alcune passioni comuni. Ho inventato questo progetto che si chiama La Barca delle Storie: assieme a una decina di partecipanti
portiamo a bordo diverse forme d’arte e letteratura e sperimentiamo le influenze della navigazione. Sul mare spesso si svelano emozioni e parti nascoste di noi.

Andar per mare su una barca a vela a narrar di storie e poesie, tra un calice frizzante e un pesce sapientemente arrostito, e poi salire sul gradino più alto di un campionato europeo con avversari che ti guardavano forse come una extraterrestre: quanto c’è di sirena delle Orcadi in te?
Sono stata alle Orcadi all’inizio degli anni ’90, un po’ per caso, e le ho girate in bicicletta. Sono isole battute dal vento che per colori ricordano la Sardegna. Ho cantato lungo quelle strade tortuose da cui vedi sempre il mare, anche se non ho incantato nessuno. Però so che alle isole e dunque al mare devo molti insegnamenti. Il rispetto e l’umiltà, innanzitutto. Il mare sa essere impietoso, ti sbatte in faccia la sua prepotenza e non fa sconti a nessuno. Ma può anche regalarti tanta bellezza da commuovere alle lacrime. E pace e orizzonte infinito, quando non è tempesta. Percorrerlo su di una tavola con un boma tra le mani, negli schizzi dell’acqua, è il tentativo di un colloquio possibile. Calibro l’effetto delle onde sulle gambe, anticipo una raffica di vento, plano su un’altra lascando la vela.
Il mare rende evidente l’essenziale delle cose, la costante sfida in cui viviamo un giorno dopo l’altro, e ci ricorda che il resto sono fronzoli.
Il vento lo sentivi sui trampoli: quanto c’è di esperienza giocosa nel cercare sempre strade nuove e sorridenti?
Vivere la vita come fosse un gioco, pur con tutta la responsabilità che anche al gioco è dovuta, aiuta a stare su un sentiero carico di fiducia e positività.
E i sentieri percorribili, come le possibilità di arricchire la nostra esperienza umana, fortunatamente sono tanti. Il guaio è che a volte siamo talmente immersi nel nostro piccolo da non scorgerli più.
È allora che serve un gesto di ribellione, strappare il paraocchi e ritrovare l’urlo del mare.

Durante la serrata per il Covid-19 hai prodotto un bollettino quotidiano che ha fatto la gioia di moltissimi giornalisti: la curiosità e la voglia di verità quanto sono importanti nella professione giornalistica?
Direi che senza queste il giornalismo non esiste. Ma spesso la complessità delle cose rende la via della verità molto tortuosa, impegnativa e dispendiosa.
In Italia, i rapporti di tanti giornalisti con la politica e di tante testate editoriali con i potentati economici implicano una dipendenza che fa male alla professione e confonde l’opinione pubblica.
Esprimere valutazioni partigiane è lecito, se dichiarato, ma prima sarebbe bene perseguire rigorose metodologie di fact checking, incrociare le informazioni, approfondire le inchieste. Per fortuna c’è anche chi lavora molto seriamente e la molteplicità di testate e piattaforme oggi disponibili rende responsabile ogni lettore della scelta di cosa e come leggere.