di Patrizia Caiffa – Erano migliaia e migliaia le donne riunite ieri, 14 novembre, a piazzale Michelangelo a Firenze per protestare contro il greenpass nonostante la pioggia incessante e la stretta governativa, con divieto di cortei in movimento, distanziamento e mascherine. Ma pochissime testate ne hanno dato notizia. La manifestazione autorizzata Venere vincerà è stata organizzata da un coordinamento di donne (medici, avvocati, artiste, docenti, professioniste di varie discipline) guidato da Nunzia Alessandra Schilirò, la vicequestore sospesa per aver detto ciò che pensava dal palco di piazza San Giovanni il 25 settembre a Roma. Il gruppo su Telegram che le riunisce conta quasi 80.000 iscritte.
Non una manifestazione femminista da raccontare con le solite etichette svilenti (no vax, no green pass, negazionisti, complottisti, ecc.) ma qualcosa di nuovo e originale, con il sostegno degli uomini, rimasti dietro le quinte.

Perché difendere la propria libertà di scelta significa difendere le libertà di tutti, come viene ripetuto più volte da un movimento che conta milioni di persone e ha diverse anime.
E’ un no convinto e coraggioso contro ogni tipo di criminalizzazione, discredito, intolleranza e discriminazione. Oggi si prende di mira una “categoria” di persone, domani un’altra, una minoranza, per qualsiasi altro motivo.
Le stime della Questura di Firenze sono di 5000 partecipanti ma secondo i conti delle organizzatrici si è arrivati fino a 48.000 persone, considerando che il piazzale, di 12.000 metri quadrati, era interamente riempito, fino alle scale di Palazzo Pitti.

I volti di bambine, ragazze, donne single, mamme o nonne erano raggianti, nonostante la pioggia e le scomodità. Esprimevano il conforto di ritrovarsi per una volta insieme, dopo aver sofferto mesi di solitudine, incomprensione, esclusione e derisione nei posti di lavoro, in famiglia, tra gli amici.
Tante le storie emerse dalla piazza. “Lavoravo come segreteria in uno studio dentistico ma sono stata messa in cassa integrazione, poi licenziata, dopo aver detto che ho problemi di salute che non mi consentono di fare il vaccino”, racconta Ilaria, 38 anni, di Imperia (sono nomi di fantasia per tutelare la privacy). “Nessuna delle mie undici colleghe si è più fatta sentire né mi ha chiamato per esprimere solidarietà. Ora sono disoccupata”.
Molte donne si sono rifiutate, per coerenza, di presentare il green pass e quindi sono ancora sospese dal lavoro e senza stipendio. Faticano a tirare avanti ma stringono i denti.
Le mamme gridavano “Giù le mani dai bambini”, ricordando che in Israele si è già pronti per le vaccinazioni pediatriche dei bambini dai 5 agli 11 anni. E non vogliono che accada anche in Italia. Cristiana, pediatra di Roma in pensione, presta gratuitamente le proprie cure ai malati di Covid-19:
“In questo periodo stanno arrivando tantissimi vaccinati con doppia dose ma io curo tutti con amore e professionalità. L’esperienza clinica personalizzata sui pazienti mi consente di capire quali farmaci funzionano meglio”.

Rosa, impiegata pubblica, lo scorso anno ha perso il marito in un solo mese a causa del Covid-19, lei stessa si è ammalata ed è guarita. Ora partecipa a tutte le manifestazioni, va al lavoro con i tamponi e non vede l’ora di fare outing tra i colleghi. Daniela, 60 anni, è vaccinata ed ha il green pass ma è stata costretta a cedere perché è disoccupata e non può permettersi di pagare i test per andare a trovare la madre 90enne accolta in una casa per anziani e guarita lo scorso anno dal Covid dopo un focolaio scoppiato all’interno della residenza.
Anna, 40 anni, infermiera in prima linea nei reparti Covid di un ospedale romano, è caduta dalle stelle alle stalle: dopo aver lavorato mesi e mesi nelle soffocanti tute anti-Covid ed essere stata osannata tra gli eroi, ora è sospesa e vicina al licenziamento perché ha rifiutato l’obbligatorietà del vaccino che riguarda i sanitari.
Dal palco Erminia Maria Ferrari, medico di base di Bergamo in prima linea nelle cure domiciliari precoci del Covid-19 (“anziché il protocollo tachipirina e vigile attesa che rischia di ritardare le cure e aggravare le condizioni dei malati”), ha detto:
“In questi due anni tutti i miei pazienti – tranne uno la cui salute era troppo compromessa – sono guariti. Li chiamo tre volte al giorno e oriento le cure a seconda della persona e dell’evoluzione della situazione. Dal Covid si guarisce e bene”.

“Siamo qui oggi perché sappiamo che questo momento storico è di una gravità eccezionale – ha scandito Nunzia Alessandra Schilirò, che ama farsi chiamare Nandra -. Sappiamo che stanno cercando di criminalizzare il dissenso.
Vogliono farci credere che chiunque la pensi in modo diverso dal pensiero dominante sia un pazzo, un criminale, un terrorista. E allora spetta a noi dimostrare che si sbagliano. Perché noi abbiamo imparato e stiamo imparando a dare energia alle soluzioni dei problemi e non ai problemi stessi”.
“Dobbiamo spiegare a tutti perché la tessera verde è uno strumento di controllo, antiscientifico e antigiuridico – ha ribadito – E’ uno strumento illogico. Posso prendere l’autobus, posso andare in metropolitana, però non posso prendere un treno ad alta velocità. Non posso stare a casa in smartworking perché mi serve la tessera verde”.
E poi un appello finale: “Decidiamo una data per fare uno stop generale: fermiamoci dieci giorni e vediamo cosa succede. Noi siamo per la libertà di scelta, anche per quanto riguarda questo siero sperimentale. Non è un vaccino, è un siero genico sperimentale. Chiamiamo le cose con il loro nome”.

Tra i vari momenti della manifestazione l’intera piazza che cantava “Il mio canto libero” di Lucio Battisti, unendosi alla voce dell’artista Petra Magoni. Con tanti cori spontanei alla fine della manifestazione, tra cui “Bella ciao” (non “Faccetta nera”, notare) e l’oramai leitmotiv triestino “La gente come noi non molla mai”.
Le candele accese sono state lasciate a terra dalle partecipanti, per rischiarare con luci di speranza un crepuscolo italiano poco rassicurante a livello di diritti ma nel rispetto della libertà di scelta di ciascuno.
