di Massimo Lavena – Tutte le mattine Joseph usciva dal grande portone dal palazzo di piazza della Città Leonina, dopo che aveva dato da mangiare ai suoi gatti. Salutava il portiere e i poliziotti dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza del commissariato presso il Vaticano e si avviava, con il suo tipico passo, breve e rapido, con il basco nero ben calato sulla testa: Joseph Ratzinger sorrideva cordialmente ai signori e ai ragazzi che lavoravano nell’edicola, appena passato sotto l’arco di Porta Angelica, prendendo qualche giornale che gli avevano preparato, prima di infilarsi nel colonnato di Piazza San Pietro.
Ascolta “Un racconto di Joseph” su Spreaker.
In pochi tra i turisti frettolosi che si avviavano verso il Portone di Bronzo o verso l’accesso controllato per la Basilica di San Pietro, riconoscevano in lui il teologo dogmatico Joseph Ratzinger, il Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede dal 1981, uno dei cardinali più influenti e discussi di Santa Romana Chiesa.
Eppure, pur stretto nel cappottone nero, con il capo un po’ piegato in avanti, e coi capelli bianchi che spuntavano dal basco, regolarmente qualche suora, dei giovani sacerdoti e qualche prelato o di Curia o di passaggio per le Sacre Mura Vaticane per la “visita ad limina apostolorum“, lo riconoscevano, e lo salutavano con reverenza e devozione, ricevendo sempre un sorriso, accompagnato da un cenno col capo ed una piccola e semplice benedizione col segno del crocifisso fatto muovendo con delicatezza la mano destra.
Quindi riprendeva il suo cammino, avendo sempre in mano il rosario che sgranava lentamente: l’ellisse berniniana accompagnava, silente e solenne compagna, la sua preghiera, e nel recitarla completamente si compiva un giro intiero della piazza.

Allora con un passo un po’ più rapido tagliava verso l’obelisco e usciva dal colonnato per svoltare verso l’accesso del palazzo del Sant’Uffizio, sede della Congregazione che presiedeva.
Tutti i giorni, salvo che per impegni istituzionali, la mattina era questa la sua routine: e non era raro che chiunque attraversasse la piazza quotidianamente per andare al lavoro in Vaticano, o dirigersi verso la Metro Ottaviano, o proveniente dalla stazione ferroviaria di San Pietro, lo incontrasse, venendo riconosciuto e ricevendo sempre un cenno schivo e di saluto.
Quante volte quel cenno col capo mi aveva colpito: sarà per l’importanza del personaggio, sarà che ormai erano diversi anni che lo incrociavo, sarà anche che mi era già capitato di intervistarlo o accompagnare una troupe per un servizio del rotocalco “Octava Dies” del Centro Televisivo Vaticano – CTV, ma il mio viso pacioccone barbuto non doveva essergli ormai sconosciuto.
A maggio, nel tragitto dalla stazione di San Pietro alla Porta Sant’Anna, varco d’accesso nello Stato della Città del Vaticano, mi capitava di prendere il rosario in mano e recitarlo lungo strada: una abitudine nata al tempo dell’oratorio, quando il mese mariano veniva solennizzato con la messa mattutina per gli studenti e il pomeriggio con la recita della preghiera dei vari Misteri.
E tutte le mattine, in una maniera o nell’altra, vedevo il cardinale muoversi come se nulla lo disturbasse, intento profondamente nel suo dialogo personale con la Madonna. A volte ci si incrociava, ed il saluto era accompagnato da un sorriso, a volte i tempi dell’incrocio in piazza non corrispondevano.
Era una mattina maggiolina, già molto profumata, coi colori della primavera inoltrata romana.
Camminavo col rosario guardando la gente, con i primi turisti sbracati, impegnati a fotografarsi con la basilica alle spalle, quando mi ritrovai davanti Joseph Ratzinger che mi guardava:
“Buongiorno dottore, gradisce recitare il rosario con me?”
Rimasi per un secondo sorpreso e poi pensai “Posso forse rifiutare un invito del cardinale?”: mentre rispondevo di sì, lui aveva già iniziato a pregare sottovoce ma in maniera tale da poterlo seguire, e mi misi un mezzo passo dietro di lui: anche perché non era certamente un gigante e non volevo impicciarlo con la mia strabordante fisicità.
Posso dire che persi un po’ la dimensione del tempo e del luogo seguendo il suo passo breve e la sua voce flebile: non c’erano turisti, suore, seminaristi o gabbiani che mi distraessero – cioè non li vedevo proprio -, ma c’era solo un ometto con un rosario, con il quale recitavo sommessamente la preghiera, camminando parallelamente al colonnato senza accorgermi di nulla.
“Amen. Grazie dottore, grazie della sua presenza con me questa mattina. Le auguro buon lavoro”.
E mentre lo ringraziavo, un piccolo sorriso e una benedizione con la mano e già era in movimento per raggiungere il Sant’Uffizio. Altre volte ci incrociammo, in verità quasi tutti i giorni. Vennero i tempi della morte di Giovanni Paolo II, con la sua devastante e pietrificante agonia pubblica, con quel suo progressivo distacco dalla vita, manifesto e vissuto drammaticamente dai fedeli di tutto il mondo.
E mi trovai a commentare in diretta televisiva il funerale del papa polacco, con la mia voce che raccontava nelle piazze romane coi megaschermi le esequie presiedute da Joseph Ratzinger.
Ricordo che fu molto commovente la sua interazione con il popolo che acclamava Karol “Santo subito”, il suo silenzio comprensivo della voce dei fedeli. Mi colpì in particolare il suo sguardo sereno rivolto verso l’Evangeliario rosso poggiato sulla bara.

Mi trovai anche a fare il commento televisivo della messa di inizio del Pontificato del “Pastore tedesco”, Benedetto XVI, come scrisse con un lampo di genialità il quotidiano comunista “Il Manifesto” il giorno dell’elezione: ma quella che doveva essere una battuta, uno sberleffo per la provenienza teutonica e la reputazione di intransigenza pastorale di Joseph Ratzinger, si trasformò in un soprannome che negli anni perse i connotati sarcastici facendo invece emergere l’aspetto più profondo del mandato pontificio.
“Penso proprio che Papa Benedetto ci stupirà”, dissi in chiusura della diretta, e mai avrei pensato che un giorno, l’11 febbraio 2013, avrebbe realmente stupito il mondo con la sua rinuncia al “ministero di vescovo di Roma, successore di San Pietro”.
Ancora oggi sorrido stupito quando ricordo l’ultimo incontro personale con Joseph Ratzinger, nel 2008, terzo anno di pontificato, in occasione dell’udienza per il 25mo anniversario del Centro Televisivo Vaticano, nella sala del Concistoro del Palazzo Apostolico.
Un momento al contempo solenne e semplice. Saluti ufficiali, un bel discorso del Papa: e alla fine, dopo le foto rituali, il lungo e allegro corteo dei dipendenti – molti coi parenti – per il saluto a Benedetto XVI.
Ci presentava l’allora direttore generale del CTV e della Radio Vaticana, e al contempo direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi SJ. Arrivato il mio turno, mentre mi avvicinavo, e padre Lombardi mi presentava, Joseph Ratzinger mi guardò e sorridendo, mentre benediceva la foto di mia moglie e i miei figli, mi disse
“Dottore, recita ancora il rosario nel mese di maggio?”
Mentre farfugliavo sorpreso una risposta tipo “ehhhhhmh beh sì certo” lui mi guardò e chiosò contento “bene, bene, anche io, grazie dottore”.
Ascolta il podcast: