di Massimo Lavena – Il 10 giugno scorso è stato ricordato in tutti i modi possibili e immaginabili il dramma di Alfredino Rampi. 40 anni da quei 3 giorni che cambiarono molte cose nella nostra società.
Un bambino morì e su quella morte si costruirono le questioni più assurde. Ci si accorse che non eravamo pronti ad una tragedia popolare; che non avevamo una organizzazione strutturata per i soccorsi; che le televisioni si trovarono a stravolgere la loro e le nostre vite raccontando per oltre 60 ore l’agonia di un bambino; che la sua voce flebile e disperata risuona ancora nelle menti delle anime semplici che la ascoltarono in diretta televisiva;
che il dramma di uno divenne il dramma momentaneo di tutti, per ritornare comune ad ogni anniversario.
Son 40 anni che il ricordo di Alfredo Rampi, delle sue urla, della mamma incredula a dover accettare la morte in un pozzo artesiano del suo figliolo, dei pompieri e dei nani e speleologi che cercarono disperati di raggiungere quel bambino ritorna per poi cadere per 365 giorni nel silenzio.
Ecco, il silenzio: quel silenzio delle anime tormentate che ad oggi non si sanno ancora dare una spiegazione, nei giorni scorsi è stato frantumato come da una pressa con servizi tutti uguali, monomaniacali nello scoperchiare il ricordo pulsante del dolore.
Tutti i canali giornalistici televisivi, tutti i chiassosi caravanserragli delle televisioni pomeridiane hanno rilanciato la mamma, la foto di Alfredino, i giornalisti delle reti RAI che condussero la diretta da studio ed in loco, nello sprofondo vermiciniano, orrido dantesco che ghermì il povero bimbo.
La storia della comunicazione si dice sia stata completamente stravolta dalla lunga diretta del dolore e della morte a Vermicino:
l’approccio con la notizia che si fece spettacolo e con lo spettacolo che trasformò la notizia è purtroppo diventato lo standard della comunicazione giornalistica da quel 10 giugno 1981.
E nel mentre, con l’adrenalina della rabbia e delle lacrime di allora che si ripercuotono dure e indigeste tutt’ora, sui canali della piattaforma SKY, ma anche ripetutamente nelle pubblicità su carta stampata, nei giorni del ricordo è stata pubblicizzata la messa in onda di 4 puntate in due date (21 e 28 giugno) che racconteranno la storia di Alfredo Rampi, della mamma Franca, del capo dei Vigili del Fuoco, del Presidente degli italiani Sandro Pertini. Una produzione importante, grossa, con bravi attori che vorrà dare un apporto.
Sia concesso obiettare che non ce n’era bisogno.
No grazie: non si può passare sopra tutto, sopra la memoria ed il dolore come se niente fosse.
Riprodurre quel clima, quel dolore, quell’angoscia è una scelta produttiva indegna, in un momento poi in cui l’Italia e non solo è stata ferita e traumatizzata per otre 18 mesi.
Non è giusto risvegliare Alfredo Rampi. Non si deve. Perché il dolore viene rivissuto e meditato in altri modi: con la speranza, con la vita che continua, con la memoria di un volto sorridente. Ma non può essere svenduta per quattro inserti pubblicitari inseriti prima, durante e dopo la trasmissione, quasi che quel bambino nel pozzo artesiano di Vermicino, sia stato solo un passaggio, un alito di morte nella campagna romana, e nulla più.
Ecco perché non bisognerebbe guardare “Alfredino – Una storia italiana”. Alla faccia della grande produzione. Poi liberi tutti, ma con un groppo in gola insanabile.