di Agnese Malatesta –Un ‘patto fra giusti’ contro la violenza e il bullismo. Un patto fra persone – che sia un genitore, un sindaco, un insegnante, un giornalista – che fanno della responsabilità delle proprie azioni, ognuno nel proprio ruolo, uno strumento di contenimento e limite di atti violenti e di odio.
E’ un richiamo al senso di responsabilità civile quello che il politologo e sociologo Marco Revelli(docente di Scienza della politica all’Università degli Studi del Piemonte Orientale) fa a commento del tragico fatto di Colleferro dove è stato ucciso il giovanissimo Willy, ultimo terribile episodio di una violenza che, anche larvatamente, serpeggia indisturbata e senza argine nella vita quotidiana. Proprio sui limiti che una società sana dovrebbe attivare, Revelli – in un’intervista a B-hop magazine – si interroga e argomenta.
Marco Revelli – @Reiseragency
“Per Colleferro – dice – non c’è un’unica spiegazione. Non c’è un’unica categoria che ha determinato quel fatto, non è solo da attribuire alle condizioni socioeconomiche, o alla marginalità, o alla cultura politica. Va detto che Colleferro non è un’area depressa, non è una periferia metropolitana impoverita e tuttavia questo è maturato in quel contesto”.
“Se devo fare una sintesi – prosegue -, dico che in quell’area si sono materializzati due poli. Il polo di Willy, il polo altruista, generoso, non arrogante; e l’altro polo, quello di figure che appaiono uscite dall’album del male”.
Una possibile spiegazione “la indico nel vuoto. Da quel che si può capire, parlo con beneficio di inventario e senza voler generalizzare, ciò che appare dalle foto e dalle rappresentazioni di sé, coloro che sono stati arrestati per questo omicidio sono figure che hanno costruito se stesse sul proprio corpo come strumento di esibizionismo nei confronti degli altri. Un corpo costruito per apparire come corpo contundente”.
Si tratta, “di una lenta costruzione che viene usata per intimorire gli altri”.
“Quando parlo di vuoto – aggiunge – non mi riferisco solo al vuoto interiore di queste persone. Mi riferisco al vuoto tutto intorno a loro, a 360 gradi. Mi riferisco ai gestori della palestra, alle famiglie, al sindaco, alle autorità che sono responsabili della sfera pubblica.
Possibile che nessuno abbia potuto contenere la violenza con cui agivano?”
Nella nostra società, “assistiamo ad un contenimento del bullismo che definirei lasco o inesistente. Addirittura, può essere considerato come accettato”.
Parrebbe un paradosso ma lo studioso precisa: “A volte gli atteggiamenti di bullismo sono una risorsa, possono tornare utili a qualcuno, danno l’immagine di potere; spesso non dispiace avere un rapporto con chi si impone con violenza”. Invece
“la società deve dichiarare guerra al bullismo.
Ognuno deve fare la sua parte. Un insegnante che chiude l’occhio a chi intimorisce in classe ha una responsabilità enorme. Così come una madre o un genitore, o un sindaco, o le forze dell’ordine. A volte invece si strizza l’occhio a chi prevarica”.
Ad esempio, osserva, “una palestra può avere i suoi vantaggi: quel bullo è utile perché magari vince tutte le gare. Nelle discoteche ugualmente. Insomma, c’è una tolleranza che a volte degenera e che invece va arginata subito”.
Revelli – figlio di Nuto Revelli, partigiano e scrittore – sottolinea che nei pressi di Colleferro c’è un ristorante che si chiama ‘Il federale’, un locale tappezzato di inni e motti del duce, i piatti che servono richiamano quel periodo: “a nessuno è venuto il dubbio che questo possa richiamare un messaggio violento?”.
Che si fa allora? “Le leggi per reprimere ed intervenire già ci sono. Ma non bastano e poi non serve moltiplicare i profili di reato. La violenza è un atteggiamento che si stratifica nel tempo.
Ciò che serve è responsabilizzare. Ognuno deve assumersi le sue responsabilità”.
Anche i media: “devono smetterla di diffondere messaggi negativi. Possibile che Briatore e Sgarbi siano i modelli a cui rifarsi? Questo è antipedagogico.
Il trash non può essere una notizia
e la notizia non può essere una merce da vendere. Com’è possibile che nelle rassegne stampa si continui ancora ad inserire i titoli di giornali come Libero? Titoli carichi di insulti”.
Ecco la responsabilità: ognuno un suo pezzetto di impegno. Ecco la necessità per Revelli di “stipulare un patto fra giusti”, perché si isoli questa violenza, in ogni sua espressione, anche la più piccola ed apparentemente innocua.
A Colleferro, a suo avviso, “è venuta meno la categoria della responsabilità. Quando dovere e responsabilità vengono meno, viene meno il senso di comunità. E atti feroci sono quasi inevitabili”.
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Giornalista professionista. Per trent’anni cronista all'Ansa, mi piace raccontare fatti e persone ‘comuni’. Scrivo su B-hop perché quelle storie, forse semplici ma non scontate, e comunque vitali e positive, di solito non fanno la storia del momento ma arricchiscono le vite di tutti. Mi piace pensare che questo sia un modo per contribuire al vivere civile. Sempre attratta dai temi sociali – laureata, più o meno consapevolmente, in Sociologia – guardo con passione alle novità in questo ambito. Ho una predilezione per i fiori, le rose in particolare, e per le scrittrici donne.