di Massimo Lavena – L’Inghilterra è campionessa d’Europa di calcio. La nazionale femminile delle albioniche calciatrici ha vinto la Coppa Europa (Uefa Women’s Euro) battendo in finale la Germania per 2 a 1, dopo i tempi supplementari.
Le calciatrici inglesi hanno regalato il primo titolo continentale di calcio alla federazione inglese, dando seguito allo slogan “Il calcio è tornato a casa”, che l’anno passato restò strozzato in gola ai tifosi che assiepavano lo stadio di Wembley a causa della vittoria dell’Italia nella competizione continentale al maschile.
Questa volta no. Le “Lionesses” non hanno deluso le aspettative di una intera nazione sportiva, che in bacheca poteva esporre, sino ad ora, soltanto la coppa del mondiale di calcio dei maschi (sempre casalinga) del lontano 1966: 56 anni di astinenza, a volte con delusioni cocenti (come l’anno passato), a volte per incapacità pedatoria, a volte per un pallone ciccato.
Ma il ruggito delle Lionesses, tutte in bianco con lo scudetto dei 3 leoni sul cuore, ha avuto ragione della compattezza teutonica, schierata con l’iconica seconda maglia verde, che tanti successi ha regalato allo sport tedesco in ogni disciplina sportiva.

Che partita: intensa, senza esclusione di colpi (quanto menano le ragazze! Quanta poca manfrina fanno le ragazze!), con ricuperi e svarioni, trame elaborate e pregevolissimi gesti tecnici.
Veramente uno spettacolo eccezionale quello che è stato messo in scena nello stadio di Wembley, davanti a 87.192 spettatori entusiasti e giocosi: bandiere inglesi con la croce rossa di San Giorgio mischiate al tricolore nerorossogiallo della Germania, tifosi che ballavano senza distinzione di tifo, che applaudivano, tanti bambini, tante famiglie, un trionfo organizzativo e dello sport.

Tutta questa edizione dei campionati europei di calcio femminile sono stati una perfetta macchina organizzativa.
Due scelte su tutte: nei gironi prediligere stadi di media capacità, magari anche in città periferiche solitamente fuori dai grandi circuiti internazionale, usufruendo di stadi moderni e comodi, così da avere la sicurezza del tutto esaurito e di pubblici affamati di sport; la trasmissione in diretta di tutte le partite del campionato, con spiegamento di mezzi tecnici come per la similare competizione maschile.

Pensare che fino al 1971 le donne inglesi non potessero giocare a calcio, e laddove fosse successo, non in uno stadio, ci fa capire quanto lo sport femminile abbia fatto passi da gigante in questi ultimi anni.
L’avvento del professionismo nello sport femminile (adesso anche in Italia le calciatrici delle serie maggiori godranno del titolo professionistico) ha camminato in maniera differente da Stato a Stato e tra federazione e federazione.
E ancora notevoli sono le differenze se è vero che le Lionesses per il loro trionfo riceveranno circa 67mila euro a testa, quando se i colleghi maschi avessero vinto l’anno passato avrebbero ricevuto circa 540mila euro.
Di diversa linea la scelta della federazione tedesca, che già da tempo ha dato seguito alle indicazioni del Comitato olimpico della Germania di rendere paritarie le retribuzioni ed i premi distribuiti agli atleti in caso di vittoria internazionale.

In quasi un mese di partite abbiamo potuto ammirare delle giocatrici che sono osannate dal pubblico e contese dagli sponsor: l’inglese Bethany Mead, eletta miglior giocatrice del torneo, la capitana tedesca Alexandra Popp (che ha rinunciato alla finale per un infortunio nel riscaldamento), la gigantesca capitana francese Wendie Thérèse Renard esempio di caparbietà e indomita combattente, la svedese Stina Blackstenius, che illumina con le sue giocate geniali le cannoniere rosse dell’Arsenal di Londra.
Tutte le partite sono state arbitrate da terne arbitrali al femminile, con poca disponibilità ad accettare le perdite di tempo e una ben spiccata propensione a non gradire le simulazioni: applausi incondizionati a mano piena e attesa dell’esordio della prima arbitra italiana in serie A, Maria Sole Ferrieri Caputi, che esordirà nel massimo campionato di calcio in questa prossima stagione 2022-23.

Giusto, e l’Italia? L’Italia non è andata bene in questi campionati d’Europa, e se nessuno si attendeva di arrivare in finale, almeno ai quarti era prevedibile. Invece fratture interne, una non completa integrazione di nuove atlete con il nucleo storico che brillò ai mondiali del 2019, troppe parole sono state sprecate.
Siamo davanti a un movimento che sta crescendo, che ha accolto con gioia l’avvenuta scelta della professionalità del campionato, con le società maschili che aprono le filiali femminili, con grandi campionesse straniere che vengono a giocare attratte da buoni ingaggi e bel vivere. Importante non sbandare e rimettere la barra a dritta, magari organizzando campi sportivi nelle scuole a modello di ciò che avviene, ad esempio, in Inghilterra, dove il calcio femminile è attualmente lo sport più diffuso in età scolare.

E allora, viva viva viva l’Inghilterra, cantava il giovin Baglioni.
Oggi in tutta la perfida Albione è festa grande, e sicuramente anche a Buckingham Palace la Regina Elisabetta, grande tifosa di calcio, avrà sorseggiato uno dei suoi gin preferiti o un aromatico Dubonnet, in onore delle Lionesses.