di Massimo Lavena (disegni di Francesca Sanna) – Kobe è morto. Notizia vecchia, si potrebbe dire. Ma non è così. Kobe Bryant è morto fisicamente (si, lettore acuto e puntualizzante, son morti altri otto esseri umani, ed incidentalmente una era la figlia di Bryant, Gianna Maria Onore): ma ciò che era per milioni di persone nel mondo non invecchierà.
Perché Kobe è una Leggenda.

Lo sport è da tanti anni una valvola di sfogo, di immedesimazione, di passione, di amore. Il Campione è colui che è capace di trasferire la sua abilità e la sua arte nel cuore del tifoso che diviene un amante premuroso, attento, affamato. La Storia dei Giochi Olimpici ci ha tramandato che i vincitori nella corsa o nella lotta, per il quadriennio delle Olimpiadi,
“godevano di privilegi quasi fossero semidei”.
Oggi il Campione nello sport è ammantato da una nube porporina e dorata, la porpora dei Re ed il dorato dei soldi.
Ma non è per il giro economico che circondava il suo essere Kobe Bryant, numero 8 prima, 24 poi dei mitici Los Angeles Lakers, che ci si ricorderà di lui. Che non ha mai usato atteggiamenti esteriori da superuomo.

Kobe è morto e ovunque lui si trovi, in Paradiso, nelle praterie di Manitù, a Shangrilà, lì troverà altri che come lui hanno lasciato un segno nel cuore di tanti, nel mondo: perché è la dimensione mondiale del dolore e dello sgomento davanti alla morte dell’Eroe che rende differente questa perdita.
L’essere Campione vuol dire superare il limite, continuamente, cercare di andare oltre le proprie possibilità,
alla ricerca della perfezione da tramandare, di un simbolo, un disegno, un sistema interiore da regalare.

“Essere Campione non vuol dire per forza vincere”, ma saper lasciare una scia di profumi buoni fatti di gesti, di scelte, di modi di essere: a volte inizialmente non comprensibili ma che poi, alla fine, ti fanno Leggenda.

C’è chi come Mohammed Alì o Paavo Nurmi o Eddy Merckx son divenuti Leggenda già in vita: niente e nessuno sarà mai più come loro, ed
ancora oggi sono e restano termini di paragone per chi è pugile, fondista o ciclista.
La morte fu un momento di trasferimento nel Walhalla dei Miti. Là siedono da allora, continuando a essere vivi nella mente degli appassionati.
C’è chi come Fausto Coppi, Gilles Villeneuve, Davide Astori, Ayrton Senna ha visto la morte sorprenderli all’improvviso, per una malattia o un terribile incidente: che ha dato alla loro grandezza sportiva ed al loro ruolo nel teatro della Storia un carattere ultraterreno, giacché la tragedia ha spezzato l’eroismo dell’agone sportivo troppo presto.
C’è chi è vivo e quando cammina per le strade viene ringraziato e salutato dalla gente come se fosse ancora sul campo di gara: Gigi Riva, Larry Bird, Nadia Comaneci, Dino Meneghin, Gustav Thoni, Elena Isinbaeva, è
una lista infinita, di eroine e di eroi che hanno reso felici isole, nazioni, continenti, popoli dimenticati.
Campioni che spesso hanno mostrato ed ancora mostrano i segni di infortuni, di cui si narra della forza di riprendersi dopo una sconfitta per tornare ancora più forti.
Questi sono gli Eroi che rendono la loro testimonianza in un Libro che deve essere ancora finito.

E poi? Dov’è Kobe Bryant? Kobe è stato un grandissimo campione di basket, uno dei più grandi, rispettato e detestato dagli avversari, applaudito dai tifosi delle altre squadre: ha saputo raccontare con i suoi record, le sue schiacciate, la sua visione del gioco,
“lo spirito del Black Mamba”,
del serpente assassino, pronto a colpire quando meno te lo aspetti. Ha trasferito la sua volontà di ferro di farcela, di migliorare, di essere imprevedibile, di non arrendersi mai nel cuore dei tifosi.

Questo lo ha reso diverso perché ovunque è stato, nei campi estivi con i ragazzini negli slums del mondo, negli ospedali pediatrici che visitava da solo di nascosto, nelle trasmissioni televisive durante le quali analizzava in maniera maniacale le azioni di gioco per spiegare gli errori ed i fattori vincenti,
aveva sempre sete di imparare e di andare oltre.
Questa è la sua eredità che lo rende immortale: non accontentarsi, non arrendersi. Anche oltre la morte, che ha fermato il tempo fisico di Kobe Bryant, ma ha aperto l’orologio dell’infinito accogliendolo tra le Leggende moderne.
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