di Daniele Poto – Succede una volta ogni trenta anni. Ma succede. Sublimazione massima del fair play nello sport nella Grand Boucle, il Tour de France, in fase di chiusura di una delle edizioni più combattute di sempre. Il flash back è un fotogramma della tappa di montagna più pesante.
Vingegaard, danese, indossa la maglia gialla, il suo grande rivale, lo sloveno Pogacar è all’ultima grande occasione per scalzarlo dal primo posto. E la tappa è tutta una serie di forsennati attacchi del numero due. E senza esito perché il rivale reagisce sempre con prontezza.
Quando Pogacar attacca il danese è sempre pronto lì a rispondere con lo stesso rapporto, senza tirare un solo metro, com’è giusto e strategico. E sono due uomini soli al comando perché quando cambiano il ritmo gli altri puntualmente si staccano.
Dunque tutti i riflettori della corsa sono puntati su di loro.
Siamo a 27 chilometri dal traguardo, la gara sta entrando nel suo momento topico, quello che decide. Poi, inopinatamente, in un fase di stanca, Pogacar sbaglia una curva, finisce nella sabbia, rovinosamente cade.
Il danese prende automaticamente venti cinquanta, cento metri di vantaggio ma quando si accorge che l’avversario non è più al suo fianco, frena, si guarda dietro, lo aspetta.
E’ il gesto di una vita.
Pogacar si rimette in sella, lo raggiunge, i due si danno la mano, fanno il gesto di ok. Può riprendere ad armi pari la rivalità e gli attacchi conseguenti.
Notare che se Pogacar ha già vinto due Tour, il danese è alla vigilia della possibile prima grande affermazione di carriera.
Va a finire che alcuni chilometri dopo sarà Vingegaard a staccare il rivale ma in condizioni di parità, senza approfittare di alcun incidente.
Nello sport delle risse, del doping, delle partite truccate, dei brogli amministrativi, delle simulazioni e dei colpi bassi, è un gesto che riconsegna alla profonda etica dello sport, al rispetto e alla lealtà pur nell’ambito di un agonismo di alta competitività.
Ma soprattutto il danese all’arrivo non enfatizzerà questo suo gesto. Lo farà passare come pura normalità, tanto più ammirevole.
Nell’iconografia della lealtà storica del ciclismo d’antan facile tirar fuori il ricordo del passaggio di borraccia tra Coppi e Bartali del 1952.

Anche qui il fermo immagine di una foto documenta l’accaduto anche se non chiarisce un arcano. E’ stato Coppi a consegnare la borraccia a Bartali o viceversa?
Ovviamente bartaliani e coppiani hanno versioni diverse ma coincidono sulla verità di un grande momento di fair play.
Jonas Vingegaard e Tadej Pogacar hanno infiammato il Tour dal primo all’ultimo metro ma l’atto di cui sono stati protagonisti alla pari forse vale più delle loro irripetibili prestazioni sportive.
Alexander Ross, il cronista del Tour per l’Equipe, il popolare esclusivo quotidiano sportivo francese ha scritto che “i due sembrano adolescenti appiccicosi dopo una lunga serata passata a confessarsi, mezzi ubriachi in uscita da una discoteca”.
Ci ricorderemo a lungo di loro perché hanno rispettivamente 25 e 23 anni e saranno protagonisti a lungo del ciclismo odierno nel momento in cui passa la mano la generazione dei Froome, Nibali, Contador, Valverde e, ora, anche Quintana.
Un gesto memorabile da gentiluomini, di quelli di cui non è piena neanche la vita di tutti i giorni, all’angolo della strada di una qualunque giornata di luglio, in un qualunque Paese del mondo.