di Margherita Vetrano – “God save the queer”è il libro di Michela Murgia, pubblicato nel 2022 da Einaudi. Ispirato alla teoria queer, è un godibile saggio che risponde alla domanda:
“Si può essere femministe e cattoliche nello stesso tempo?”
Ascolta “God save the queer, il catechismo femminista di Michela Murgia” su Spreaker.
Per la scrittrice sì e ce lo spiega in un’analisi attenta e moderna dei testi sacri.
Partendo dalla Prima lettera di Pietro (I PT 3,15), trova l’incipit di uno spunto critico: “Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi“.
Ed è con questo invito al “credo critico” che Michela Murgia si pone, considerandolo un buon esercizio spirituale.
Reputa che la speranza del credente non sia fiducia nel fatto che le cose che facciamo andranno a buon fine ma la certezza che compiere delle azioni abbia un senso, a prescindere da quello che sarà il loro esito.
Tenendo conto che l’esperienza di relazione nella fede è differente per ognuno di noi.
Il linguaggio colto ma sempre ironico si fa via via più pungente fino a concentrarsi su quella che reputa essere stata la svolta storico-sociale del cristianesimo.
Non solo la rappresentazione iconica di Dio, ma la scelta di farlo seguendo i canoni sociali delle classi più abbienti.
Ed è su questo spunto che si appiglia la teoria queer intesa come trasversale.
“Verso chi ha una sola idea di Dio provo lo stesso istinto di difesa che ho davanti a chi ha letto un solo libro”,
scrive l’autrice: “Preferisco l’ignoranza, lo spazio bianco che apre all’intero possibile, piuttosto che l’avere un’unica prospettiva, perché ciò che è unico tende a diventare dogmatico con estrema facilità”.
Nel rifiuto della stigmatizzazione e l’inseguimento di un amore capace di essere panico e quindi molteplice e completo, esplode la sua ricerca di una divinità capace di farlo.
L’espressione più perfetta è per lei rappresentata dallo Spirito Santo, il più indefinito e caotico fra le persone della Trinità.
Il più queer insomma.
Analizzando le persone della Trinità, il suo studio si sposta sulla dimensione corporale “del figlio” asserendo che
“il corpo è necessario come spazio spirituale nel cristianesimo cattolico, così come lo è nel femminismo che, dalla liberazione del corpo si muove, per liberare il resto”.
Prosegue e dice la sua rivisitando in chiave queer l’intera vicenda di Gesù, offrendo spunti sulla militanza e sulla fede.
La capacità del Messia di essere libero e capace di raggiungere chiunque lo avvicina a chi, come lei, rifiuta le gabbie sociali in cui le donne, ancora oggi, rischiano di essere vincolate.
“Accettare la querness come prassi cristiana significa riconoscere che il confine che non ci circonda, ma ci attraversa, e quel che avvertiamo come contraddizione, è in realtà uno spazio fecondo di cui non abbiamo ancora compreso il potenziale vitale”, afferma.

La sua analisi è ben descritta nella postfazione al libro di Marinella Perroni.
“L’uso dell’aggettivo queer nella sua ampiezza etimologica ne fa una qualifica decisiva del pensare in generale e di quello teologico in particolare. Il suo catechismo femminista è quindi provocatorio perché da credente femminista espone la sua fede invitando alla riflessione”.