di Rinaldo Felli – Se n’è andato troppo presto. E’ scomparso prematuramente. Queste due frasette retoriche, scontate, abusate le dovremmo però usare anche per salutare il Maestro Gigi Proietti.
Perché non è scomparso un attore ottuagenario che aveva già dato e preso tutto dalla vita ma piuttosto un giovin attore che
“aveva il privilegio di poter continuare i giochi d’infanzia fino alla morte, che nel teatro si replica tutte le sere”.
Un giovin attore che avrebbe ancora continuato ad affabulare, ad incantare a farci piangere, sognare, ridere con generosità, con quella capacità rara, che è solo dei geni di saper essere colto e popolare nello stesso tempo.
Discettava ed insegnava Shakespeare, dirigeva il Globe Theatre di Roma, interpretava l’Edmund Kean e nel frattempo, pescando dalle sue radici romane, non perdeva occasione di rallegrarci raccontandoci “Er cavaliere Nero” o un’altra delle sue ineffabili storie.
Il Teatro, il luogo dove Proietti ha maggiormente profuso il suo talento, come sappiamo è chiuso a causa della pandemia.
Ma domani dovrà necessariamente, obbligatoriamente riaprire per concedere al grande mattatore di recitare la sua ultima scena ed al suo sconfinato pubblico di commuoversi per l’ultima volta.
E forse Gigi, dopo averci deliziato per centinaia di serate, ancora una volta con la sua inimitabile voce reciterà: “Io me ne vo… Scusate: non può aspettarmi. Il raggio della Luna ecco viene a chiamarmi”. (Cyrano de Bergerac)