di Agnese Malatesta – La notizia prende un po’ alla sprovvista, certamente può anche meravigliare, ma è comunque una bella notizia: dopo 500 anni torna il castoro in Italia.
Ignari della sua scomparsa, il ritorno nel nostro Paese del simpatico roditore, noto per costruire dighe con rami e legni, permettendo così di stabilizzare i corsi d’acqua, non può che farci contenti. L’annuncio di questa eccezionale ricomparsa è frutto di uno studio dell’Università Statale di Milano e dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Consiglio nazionale delle ricerche, pubblicato su “Animal Conservation”, in cui si dice che
questa novità è “un esempio di ritrovata biodiversità”.
Ma che tuttavia sono “necessari strumenti di monitoraggio per ridurre i possibili danni dovuti alle attività del castoro”.
Fino a pochi anni fa, il castoro europeo (Castor fiber) era totalmente assente dall’Italia, in quanto caccia e perdita di habitat avevano portato all’estinzione tutte le popolazioni presenti sul territorio nazionale. Dopo più di 500 anni di totale assenza, questa specie ha recentemente iniziato la ricolonizzazione dell’Italia a causa di espansione naturale dall’Austria verso Trentino Alto-Adige e Friuli Venezia-Giulia e di reintroduzioni (non autorizzate) in Italia centrale (Toscana, Umbria, Marche).

Nello studio pubblicato su “Animal Conservation”, i ricercatori hanno raccolto i dati di presenza disponibili per il castoro in Europa, tramite l’utilizzo di database di distribuzione delle specie e tramite ricerche mirate sul campo finanziate dal fondo Beaver Trust (UK).
Ma le belle notizie portano con sé anche risvolti spiacevoli da valutare.
Se da una parte, infatti, la presenza del castoro può ridurre il rischio idraulico, mitigando l’intensità degli eventi di piena,
in altri casi le attività di foraggiamento/rosicchiamento del castoro possono causare danni alle coltivazioni.
Inoltre, la costruzione di dighe e tane può talvolta modificare il flusso d’acqua causando danni ad infrastrutture umane come canali artificiali, strade e ponti.
È quindi fondamentale – tengono a sottolineare i ricercatori – una attenta attività di monitoraggio nelle zone più a rischio, in modo da applicare prontamente misure di gestione che possano arginare o mitigare i possibili danni dovuti alle attività del castoro. Tra questi metodi si trovano, ad esempio, la protezione dei campi agricoli con recinzioni invalicabili al castoro, e il drenaggio di eventuali aree umide derivanti dalle attività di costruzione di dighe, quando queste minacciano infrastrutture umane.
Mattia Falaschi, ricercatore zoologo dell’Università Statale di Milano e primo autore dello studio, spiega: “Ampie zone d’Italia risultano essere idonee per la stabilizzazione del castoro e, mentre le popolazioni settentrionali sembrano essere più isolate,
in Centro Italia abbiamo riscontrato un maggiore potenziale di espansione della specie.
Le aree di potenziale conflitto con l’uomo sono principalmente distribuite in Centro Italia, soprattutto in Toscana, Umbria e Marche, e in Trentino Alto-Adige, dove i castori potrebbero avere accesso ad aree con presenza di piantagioni arboree o infrastrutture sensibili alle attività della specie. I modelli suggeriscono invece aree di potenziale conflitto molto limitate in Friuli Venezia-Giulia”.