di Massimo Lavena – Finalmente! Ora le parole spese, spesso a vanvera, dovranno per forza lasciare spazio, tempo, immagine a loro: gli atleti dei cinque continenti si sono presi il loro cerchio ed hanno sconfitto le paure. A Tokyo i Giochi della XXXII Olimpiade del 2020 hanno preso il via, e per molti motivi già oggi sono Storia.
Ma di quelle storie belle, che si possono raccontare senza stancarsi mai, con gli occhi umidi di gioia e commozione: perché Tokyo 2020 che rinasce in Tokyo 2021 come l’araba fenice della speranza ha già vinto.
La cerimonia d’apertura ha mostrato tutta la dolorosa complessità di questa avventura olimpica: il ricordo delle migliaia di morti per la pandemia del Covid-19, il balletto tragico e dolente della memoria della strage ai Giochi di Monaco 1972 con i terroristi palestinesi del settembre nero che massacrarono gli atleti della rappresentativa israeliana, la citazione del disastro nucleare di Fukushima con i bambini del 2011 oggi adolescenti che raccolgono il testimone dei tedofori hanno fatto capire che non sarà una edizione normale.
Ma non per la malinconia che ha pervaso dall’inizio tutta la cerimonia: la commistione tra storia del Giappone e futuro del mondo ha accompagnato lo spettatore televisivo in un viaggio tra colori, simboli e musiche, il tutto dosato sapientemente per non trasformare la festa in una kermesse rumorosa che avrebbe levato spazio alla riflessione che pervadeva ogni immagine.
In ogni immagine mancava il pubblico: il virus maledetto è dietro l’angolo, perché i giapponesi vaccinati sono pochissimi, le autorità sanitarie del Sol Levante hanno deciso, per poter effettuare le gare, di farle quasi a porte chiuse.
Quel pubblico che in queste ultime settimane è sceso in strada in Giappone per chiedere la cancellazione dei Giochi, che si pone il problema di come recuperare il grande debito accumulato per la posticipazione e per l’effettuazione senza il supporto degli incassi dei biglietti, non ha mai fermato lungo le strade dell’arcipelago giapponese la fiaccola dei tedofori con il sacro fuoco di Olympia.
Perché quello è un simbolo di vita, di speranza, di pace.
Quella fiamma che si accesa nel braciere a forma di fiore di ciliegio, rappresenta la vita che palpita, rappresenta lo sforzo degli atleti, rappresenta il sangue che scorre veloce per lo sforzo.
È il fuoco della contesa dalla quale scaturirà il vincitore della medaglia d’oro, ma che arde per tutti gli atleti: per quelli oggi presenti a Tokyo e per quelli che da oggi stanno iniziando ad allenarsi sognando la loro partecipazione a Parigi 2024.
Gli scalini saliti da Naomi Osaka, ultima tedofora di un viaggio della fiamma olimpica che sembrava non dover finire mai, hanno racchiuso un altro simbolo insito nei Giochi Olimpici: figlia di una donna giapponese e di un uomo haitiano, Naomi Osaka racchiude in lei quella naturale propensione umana all’incontro, alla mescolanza, al cambiare per creare cose nuove. In lei, giapponese con la pelle d’oro e tabacco, è manifesta l’unione dei popoli, che lo splendore dei cinque cerchi che brillano tra loro intrecciati, segni di gloria, d’onore, d’amore e pace. Citius! Altius! Fortius!