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Home Primo Piano

“Zoe è etiope, Lily indiana. Le nostre figlie ci hanno insegnato l’amore”

di Giulia Segna
12 Febbraio 2019
in Primo Piano, Si può fare
Tempo di Lettura: 4 mins read
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(di Giulia Segna) – Il desiderio di avere un figlio. La dolorosa accettazione di non poterne avere. I tentativi falliti. L’estenuazione, la rabbia, la frustrazione. Poi, l’adozione di Zoe e Lily, due splendide bambine di origine etiope e indiana. La sensazione di completezza, la felicità, l’estasi. Antonella e Pietro si dicono profondamente fortunati: hanno avuto l’opportunità di trasformare gli schemi genitoriali tradizionali per adattarli alla propria condizione, provando un amore potentissimo, prima sconosciuto.

Antonella, Pietro, Zoe e Lily sono una famiglia sorridente e colorata, trasmettono gioia, sono complici l’uno dell’altro.  Basta uno sguardo per capirsi.

Zoe ha 15 anni, è nata a Roma ma ha origini etiopi, è alta, sportiva e fiera di sé.

Lily invece ne ha 10, è nata a Calcutta (India), ha gli occhi curiosi, è affettuosa, e ogni tanto si rifugia nel suo mondo protetto fatto di canzoncine e giochi di ruolo.

Sono belli da vedere, ma il cammino percorso, che poi li ha fatti incontrare, ha richiesto una bella dose di coraggio e resilienza: Antonella e Pietro hanno provato per anni ad avere un figlio ma non ci sono mai riusciti. L’accettazione è stata difficile e dolorosa ma la solidità della coppia ha fatto in modo che il loro futuro fosse ancora ricco di gioie inaspettate.

I due hanno conosciuto per caso il mondo delle adozioni, se ne sono interessati e hanno avviato l’iter di richiesta. Dopo anni di attesa, controlli psicologici e ispezioni della casa, finalmente sono stati riconosciuti come idonei, e abbinati ad una bambina ospite di una casa famiglia del comune di Roma: era Zoe e aveva 8 mesi.

L’allegria nei loro occhi, mentre ripercorrono le tappe del proprio passato, è incontenibile:

“Sono stati i giorni più intensi della nostra vita, abbiamo provato una sensazione di felicità fino ad allora sconosciuta, quasi estatica, finalmente genitori dopo anni di attese e speranze!”.

“Un amore reciproco – proseguono – perché non appena ci allontanavamo dal centro, Zoe scoppiava a piangere. Ci voleva al suo fianco. E la prima volta che l’abbiamo distesa in quello che sarebbe diventato il lettino della sua camera, ci si è addormentata senza fare un fiato, come se lo sentisse già suo, da sempre”.

Antonella, Pietro e la piccola Zoe, finalmente una famiglia.

“Eravamo felicissimi, ma sentivamo che ci mancava qualcosa, anzi, qualcuno, per sentirci davvero completi”.

Quindi, equipaggiati di pazienza e consapevolezza della lungaggine dei tempi di abbinamento di un secondo figlio, hanno riavviato l’iter di richiesta, con gli annessi controlli psicologici mensili, ispezioni della casa e test sulla solidità familiare.

“Ti chiedi perché ci sia tutta questa esasperata attenzione all’equilibrio psicofisico dei genitori che fanno domanda di adozione, mentre tanta accortezza non c’è per la coppia che diventa naturalmente famiglia”.

“Ma va bene così – continua Antonella -, perché un bambino che già esiste e che ha già vissuto, più o meno consciamente, l’esperienza dell’abbandono, merita di vivere una vita fatta di sicurezze e protezione. E noi, non vedevamo l’ora di accogliere il quarto membro nella nostra piccola comunità”.

Così, trascorsi due anni dalla ricezione di idoneità genitoriale, Antonella e Pietro, accompagnati da una elettrizzata Zoe, hanno volato fino a Calcutta dove, presso l’orfanotrofio fondato da Madre Teresa, hanno incontrato Lily.

“Che gioia immensa vederla varcare la soglia della sala d’attesa! Tanto minuta e tanto coraggiosa, con in mano un collage di nostre foto inviatole mesi prima. Ci ha guardati, e con un misto di perplessità e contentezza ha esclamato: ‘Mamy, Daddy e Didi’ (sorella maggiore in lingua bengalese).

Li aveva riconosciuti, erano la sua famiglia.

I mesi seguenti, seppur colorati da un nuovo amore rinnovato, non sono stati semplici: si sono accorti che Lily aveva comportamenti anomali, tendenti all’autolesionismo e alla chiusura in sé stessa. Erano stati avvisati che la bambina fosse affetta da ipotiroidismo congenito ma ne avevano sottovalutato alcuni aspetti: si tratta di una patologia che, non curata per tempo durante i primi mesi di vita, può comportare un ritardo nello sviluppo cognitivo.

Mentre lo raccontano le voci di Antonella e Pietro si fanno più flebili ma non appena incontrano gli occhi profondi e sognanti di Lily, intenta ad ascoltare, tirano fuori tutta la forza che hanno dentro: “Sapevamo poco di quella malattia, siamo stati sopraffatti dalla paura di non farcela, di non essere all’altezza della situazione, frustrati dalla consapevolezza che le cose non sarebbero state facili,

ma l’amore incondizionato e reciproco che proviamo, ci ha fornito, nel tempo, tutte le soluzioni di cui avevamo bisogno”.

“Abbiamo sradicato dalla nostra testa gli schemi tradizionali della genitorialità, cominciando ad apprezzare tanti altri sviluppi di Lily non legati ai voti a scuola, ai buoni risultati sportivi o al corretto comportamento in pubblico. Ci ha insegnato a guardare il mondo da una prospettiva totalmente nuova, a ringraziare per ogni splendida giornata vissuta insieme, ad amare l’altro per quello che è e sa dare”.

“Ci ha educati alla pazienza, all’ascolto, al saper guardare oltre i propri confini mentali, a rispettare i tempi altrui, ad accogliere e non giudicare”.

“La nostra vita è più bella adesso. Ci sentiamo persone migliori, e le siamo infinitamente grati per questo dono”.

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Giulia Segna

Giulia Segna

Faccio ricerca nel campo delle relazioni interculturali, sono di Roma. Mi diverto a osservare, ascoltare e annotare la realtà che mi circonda: la vita è colorata di infinite sfumature ma per riuscire a vederle bisogna rallentare e concedersi il giusto tempo. Io B-hop perché...pensare e diffondere positività è la chiave per vivere felici, tutti.

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