(réportage di Patrizia Caiffa) – Quanto è difficile descrivere un viaggio in un Paese di panorami mozzafiato, animali in libertà in terra e in mare, montagne, foreste, lagune, strade e deserti spettacolari, passato e presente interessanti ma pieni di contraddizioni? Così è il Sudafrica, e nel raccontarlo si rischia di cadere nei soliti cliché da guida turistica.
Qui appunterò solo istanti, attimi di meraviglia assoluta, spesso indicibili. Le immagini in presa diretta parlano di più.

Al Parco Kruger, esteso come il Veneto, abbiamo incontrato tutti i Big Five, i 5 grandi animali della savana (leone, leopardo, ippopotamo, rinoceronte ed elefante).
Lo si può visitare con la propria automobile (a noleggio per i non sudafricani, imparando a guidare come gli inglesi) e percorrere senza mai stancarsi, dalla mattina alle 18 in punto, le infinite strade sterrate dove si incontrano gli animali.
Oppure partecipare ai tour organizzati con i ranger all’alba, al tramonto o in notturna. Si può dormire nel parco, oppure in guest house o alberghi negli immediati dintorni.
Sono gli occhi del bambino interiore quelli che rimangono incantati quando vedono spuntare nel bush, ossia la savana, i primi impala con i cuccioli, che poi diventano migliaia e migliaia. Sono i più diffusi, vittime preferite dei grandi predatori (e dei cacciatori e bracconieri).
E poi gli eleganti kudu, con le corna attorcigliate, simbolo del parco, le zebre, le giraffe, le iene, gli sciacalli, i facoceri, i bufali, i wild dog, i giaguari, le genette, i coccodrilli, le tartarughe e centinaia di uccelli colorati, tra cui aquile, upupe e kingfisher, i martin pescatori.
Una emozione dietro l’altra: come quando si intravedono gli elefanti con le loro lunghe zanne d’avorio. Le mamme che attraversano la strada con gli elefantini, i maschi enormi più minacciosi, facendo attenzione all’eventuale sudore che può gocciolare sulle loro fronti. Altrimenti è meglio allontanarsi con cautela ma rapidamente.
Stesso dicasi per i rinoceronti: sembrano mietere l’erba con il grande corno che ogni tanto appare maestoso. O gli ippopotami, apparentemente miti giocherelloni intenti a sguazzare nelle pozze ma dai quali è meglio stare discretamente lontani.
La meraviglia più assoluta è scoprire all’improvviso, spaparanzate in mezzo all’erba alta, una decina di leonesse quiete e sbadiglianti. Non si curano minimamente delle vetture che passano loro accanto a nemmeno 10 centimetri. Rizzano le orecchie e si alzano a quattro zampe solo quando sentono il ruggito potente del maschio, che invece non ha voluto svelarsi per farci ammirare la sua folta criniera.

Come pure incontrare al crepuscolo, a pochi passi dalla strada, gli occhi attenti di un leopardo che ti scrutano seri, per poi saltare su un ramo come nei migliori documentari televisivi.
E vederne ancora un altro all’alba, mentre segue un gruppo di impala senza mai farsi notare, nascondendosi tra i cespugli, mimetizzandosi tra le foglie, con la pazienza infinita del cacciatore che ha tutto il tempo del mondo per studiare attentamente le mosse delle sue prede, prima di sferrare l’assalto finale.

In Sudafrica dicono che chi avvista un leopardo durante i suoi primi safari – è rarissimo incontrarlo – lega in qualche modo il suo destino all’Africa.
Non so se il detto sia veritiero. L’unica cosa certa è la gratitudine per l’abbondanza dei doni ricevuti: grandi e piccoli animali si sono fatti trovare, oramai abituati a mischiare i loro passi accanto a quelli degli umani. Forse troppo?
Nell’immensità della natura selvaggia abitata dagli esseri liberi – seppur contaminata dalla presenza dei bipedi come spettatori – percepisci di essere solo un piccolo granello di un ingranaggio perfetto, da rispettare e amare.
