Da piccola andava male a scuola perché si annoiava. Finché “ad un certo punto della vita mi sono dovuta rimboccare la maniche”. Oggi è considerata una delle migliori 50 insegnanti del mondo. I suoi alunni della scuola primaria imparano giocando. In questo modo i bambini si divertono (gli insegnanti pure) e diventeranno adulti migliori: più sicuri di sé e positivi, capaci di pensieri critici, logici e creativi, di autonomia e imprenditorialità. E’ questa la sfida di Barbara Riccardi, l’insegnante da Nobel. Nel 2016 è stata tra i primi cinquanta finalisti al Global teacher prize 2016 che si è svolto a Dubai, il “Nobel” che premia i migliori insegnanti del mondo.
Romana, ha alle spalle una esperienza lavorativa poliedrica, che spazia dall’insegnamento delle materie fisiche a quelle umanistiche nella scuola primaria da circa 20 anni. “Mi è sempre piaciuto l’ambito creativo e non mi vedevo in un ufficio”, racconta a b-hop in questi giorni di rientro a scuola. Barbara Riccardi in passato ha organizzato eventi per l’Estate romana, ha fatto la manager di gruppi musicali, è giornalista pubblicista, counselor Gestalt e ora studia pedagogia all’università.
Non tiene nulla per sé Barbara, ed è bravissima a fare rete e a condividere. La sua umiltà è una dote rarissima. La sua passione e il suo entusiasmo sono trascinanti, la sua creatività vulcanica è in cerca di sempre nuove idee, relazioni, didattica innovativa.
E’ sua l’idea di organizzare in classe il TG scuola, con gli alunni che giocano a fare i giornalisti o i cameraman e intanto imparano storia e geografia. In questo modo non avranno più paura delle interrogazioni. E’ lei che insegna a leggere e scrivere in palestra usando il corpo, con i bambini che compongono le sillabe a terra. Non mette mai brutti voti ma cuoricini o complimenti come: “Sei un genio!”
Ma – soprattutto – ogni giorno distribuisce abbracci, che nel tran tran frenetico quotidiano a volte i genitori dimenticano o barattano con videogames o tablet. Gli alunni la adorano, come pure i genitori e le insegnanti che sono sulla stessa lunghezza d’onda.
Ora insegna alla scuola primaria Principe di Piemonte nel quartiere romano Garbatella. Italiano, storia, geografia, musica, motoria e informatica, “che però non posso fare perché non ho internet in classe”. E gira come una trottola. Non si ferma mai: fa la formatrice ai docenti universitari negli atenei pubblici, la formazione obbligatoria ai colleghi, interviene ai corsi di Explora e del Centro italiano Gestalt diffondendo il suo metodo “Open mind”, la sua esperienza nella scuola che mira a formare gli insegnanti e tutti gli adulti per migliorare i giovani e il futuro.
La traccia del suo passaggio nel mondo della scuola si sentirà. E’ proprio di questi giorni, in apertura di anno scolastico, la notizia che alle elementari e alle medie le bocciature saranno abolite per decreto. Basterà un solo docente che si opponga alla bocciatura. Salvo rari casi di assenteismo totale, che riguarda solo un bambino su mille nella scuola primaria.
Da quest’anno nelle scuole primarie e medie sarà più difficile bocciare: cosa ne pensi?
Io non boccio mai. Perché bocciare un ragazzino? Magari ha un problema vero. Se il bambino a scuola va male è perché l’adulto – genitore o insegnante – ha sbagliato qualcosa. Non è stato capace di catturare la sua attenzione e portarlo sulla buona strada.
Hai mai messo brutti voti?
Io non metto brutti voti. Non metto numeri ma cuori o simboli. Oppure dico: “Sei un genio!” Perché bisogna valorizzarli. Io credo che ogni bambino cerchi di dare il meglio, perché penalizzarli con un numero? Qual è il metro della normalità? Sono numeri. Io so che quel bambino più di tanto non mi può dare. Perché gli devo mettere 5 o 6? Perché lo devo mortificare? Gli dico: “Sei stato bravo perché ho visto che ce l’hai messa tutta e ti sei impegnato”. Poi vedo che, nel corso della vita, chi ha preso 10 magari farà cose normali. I più creativi invece faranno lavori di levatura.
Cosa dici il primo giorno di scuola?
Prima di tutto mi presento ai genitori, altrimenti dicono “questa è pazza” perché non capiscono cosa sto facendo. L’anno scorso abbiamo creato un patto di alleanza e sul cartellone abbiamo scritto le aspettative dei genitori. Poi gli obiettivi li abbiamo messi a confronto con il team docenti, perché dobbiamo procedere tutti su uno stesso binario.
E appena entri in classe al mattino?
In classe dico sempre che il bicchiere è sempre mezzo pieno e che i problemi si superano insieme. Se uno non fa la lezione la ripassiamo insieme e facciamo le mappe concettuali per ricordare le parole chiave. Da qui si crea il discorso. Chi ha finito la terza media nel mio ciclo sono stati i più bravi nelle materie orali, non avevano paura del’interrogazione alle medie perché avevano affrontato lo spauracchio di parlare davanti agli altri. Per me non esiste un programma, posso avere un’idea ma voglio inventarlo ogni giorno. Quando entro in classe creo con i bambini, perché i bambini rivoltano tutto. Non posso essere sicura di fare quella cosa specifica. Se un bambino fa una domanda potremmo anche andare a finire da un’altra parte. Se qualcuno non ha capito bene una cosa torniamo indietro. Invece c’è l’ansia di finire il programma altrimenti non si è un bravo docente. Io invece dico: sei un bravo docente se l’alunno ha capito quello che stiamo facendo.
E’ questa la vera “buona scuola”?
(ride) Io non posso insegnare in modo diverso. Se non mi diverto non posso far divertire i bambini. E se non si divertono non imparano. Il mio metodo è: giocare imparando. Anche nel mondo adulto se il datore di lavoro non crea quell’atmosfera, quel clima, in cui valorizza le persone, se non crea un team forte dove c’è armonia non porta a casa dei risultati.
Ci parli del tuo metodo “Open mind”?
“Open mind” è partito l’anno scorso a settembre L’ho portato in giro per le scuole grazie alla formazione obbligatoria per gli ambiti territoriali delle scuole di ogni ordine e grado. E all’Università La Sapienza, facoltà di Scienze dell’educazione e psicologia. Abbiamo formato 250 docenti di ogni ordine e grado sulla didattica innovativa con un corso sulla “Matematica felice”, per superare la paura della materia; e un altro partendo dalle competenze dei ragazzi per fare didattica, mettendo l’alunno in primo piano. Grazie alle competenze dei ragazzi si crea tutto il processo formativo.
Gli insegnanti sono aperti a queste forme di didattica innovativa?
Siamo in tanti ma un po’ sparsi, dovremmo fare rete. Ciò che non va in Italia è che ognuno si tiene in mano il suo tesoretto per dire: “Questo l’ho fatto io”. Invece all’estero condividono molto. Io vedo che gli insegnanti già fanno certe cose ma non sanno di farle. Siamo tutti arrabbiati per come vanno le cose, in una scuola con sempre più burocrazia, che non valorizza gli insegnanti da un punto di vista economico. Ma se le persone imparano a vedere il bicchiere mezzo pieno si innesca un processo di cambiamento positivo del ruolo dell’adulto nei confronti del ragazzo. Le domande da farsi sono: per essere attrattivi cosa bisogna fare? Come portare dalla nostra parte i ragazzi? Non si può stare seduti in cattedra: bisogna creare un nuovo stile, perché i ragazzi sono più avanti di noi. Altrimenti ce li perdiamo.
Da dove parte il cambiamento positivo?
Il processo del cambiamento parte dal rendere i bambini autonomi sviluppando processi autonomi e creativi attraverso l’esperienza. E’ il fare che porta ad imparare, se non sbagli mai non imparerai mai. Il cambiamento arriverà nei ragazzi e loro cambieranno la società. Ma siccome fanno riferimento agli adulti i primi a doversi mettere in gioco siamo noi. Il cambiamento deve partire da noi. Ho notato che basta essere positivi e gli insegnanti si animano, hanno voglia di fare laboratori esperienziali. Io sono insegnante come loro e parlo la stessa lingua, condividiamo i problemi veri, le cose che accadono.
Come ti è venuta l’idea di realizzare un Tg o un radiogiornale a scuola?
Il Tg a scuola nasce dall’idea di creare una redazione nella classe: i ragazzi diventano giornalisti, cameramen, oppure possono realizzare la colonna sonora. Facevamo le riprese a casa di uno dei genitori. Siamo andati ad intervistare il sindaco, tutti i ragazzi scrivevano. Lo abbiamo mandato in onda su una tv locale. Avevamo vinto un bando della Regione Lazio sotto la giunta Polverini ma i soldi non sono mai arrivati. Nel 2010 abbiamo fatto un progetto per la classe V con la radio, abbiamo chiamato Antonello Dose e Marco Presta del “Ruggito del Coniglio”. Ora faccio il Tg scuola per studiare storia, geografia e italiano. Così i bambini non hanno paura dell’interrogazione. Se l’argomento del giorno è l’era preistorica i bambini si preparano la lezione e vengono alla cattedra facendo finta di essere giornalisti, con nome e cognome, presentando la notizia del giorno. Chi sta seduto ripassa. Diventa un gioco.
Quale auspicio per l’anno scolastico che si apre?
Spero che gli adulti si rendano conto che i bambini ci stanno chiedendo aiuto. La società è un disastro e i bambini sono il prodotto di questa società: non c’è una via di mezzo tra noi – che all’epoca eravamo buoni e disciplinati – e oggi, che è tutto l’opposto. I genitori si dicono amici di questi ragazzini. Ma quali amici? Devi fare il genitore, devi dire “no”. A casa non sono abituati alle regole, hanno tutto. Già sul passeggino hanno il cellulare. Ma soprattutto, i bambini ci chiedono di essere abbracciati.