Voi che vivete sicuri / Nelle vostre tiepide case / Voi che trovate tornando a sera / il cibo caldo e visi amici: / Considerate se questo è un uomo…
Sono i disperati versi di Primo Levi che rammentano la morte nei lager di sei milioni di ebrei, sterminati dalla ferocia nazista: e però tornano alla memoria, percependo il muro diaframmatico che crea l’immobile e patinato gruppo di famiglia in un interno nella scena finale del film L’ordine delle cose di Andrea Segre, da poco nelle nostre sale, dopo il passaggio alla Mostra del cinema di Venezia.
Corrado Rinaldi è un ex poliziotto, ora funzionario del Ministero degli Interni, inviato in Libia per una missione delicata, quella di arrestare le partenze dei migranti verso le coste italiane. Il nostro protagonista – ben interpretato da un asciutto Paolo Pierobon – è uomo dai punti fermi, deciso, sa cosa vuole, ma fondamentalmente è una persona comune, con una bella famiglia, due figli e la moglie – una rassicurante Valentina Carnelutti – che lavora in un pronto soccorso.
Eppure le sue certezze vanno in crisi incontrando Swada, una ragazza somala che cerca di fuggire dai campi di detenzione libica per raggiungere la Finlandia, dove l’aspetta il marito. Corrado, allentando per un momento la sua ferrea logica, prova ad aiutarla, rischiando di compromettersi, in evidente contraddizione con le finalità delle disinvolte e pericolose trattative per trattenere i migranti, che nel frattempo sta portando avanti con la guardia costiera libica e il direttore di un centro di detenzione.
Come può il geometrico Corrado Rinaldi, che ama allineare tutto – dalle magliette sul letto ai vasetti di sabbia libica – far quadrare il cerchio? Qual è la formula per riportare ordine alle cose?
Così la coscienza di Corrado è messa a dura prova nella scelta tra il giusto e il necessario e ancor più tra il bene e il male, tra i numeri, che vanno gestiti, e le persone, che andrebbero salvate.
E, così, questo film chiede a tutti noi come si possa accettare di continuare a credere che i campi libici siano centri di accoglienza, mentre ancora la recentissima denuncia di Medicins Sans Frontieres parla di estorsioni, abusi fisici e privazione dei servizi di base.
Possiamo continuare a girarci dall’altra parte?
Con una narrazione dal ritmo lento e implacabile, Segre punta dritto al cuore del dilemma, il risveglio delle coscienze che forse ormai hanno metabolizzato il dramma. Il film soffia sulle nostre anime raffreddate, prova a tirarci fuori dalle nostre “tiepide case”.
Nelle sale anche Miss Sloane del regista John Madden, cinico film sulle potentissime lobbies americane.
Un (finto) thriller politico che ci catapulta nella narrazione di un’umanità distopica dove, pur di ottenere soldi e successo, è tutto permesso: aggirare la legge come calpestare la dignità delle persone.
Una clamorosa Jessica Chastain, attrice quanto mai versatile, eguaglia in bravura la sua Maya Lambert di Zero dark thirty, disegnando una Elisabeth Sloane apparentemente feroce, una maschera di donna che ha rinunciato a tutta sé stessa pur di avere successo. Avvincente ma amaro.