(di Patrizia Caiffa) – In un giorno oscuro ha perso tutto e la sua vita è cambiata per sempre. Anno 2008, in Mauritania esplode il colpo di Stato. Il padre di Mor Amar, uomo colto e docente universitario, era ministro del governo. Mor studiava letteratura francese all’università, era già sposato. In un attimo ha saputo che i suoi genitori erano stati imprigionati ed uccisi. E’ dovuto fuggire di nascosto, con i due fratelli più grandi, verso il Senegal, lasciando tutto, costretto a migrare per forza. Dal 2011 Mor Amar, oggi 31 enne, è rifugiato politico in Italia ed ha fondato a Roma, insieme a 3 soci italiani, una cooperativa di successo che si occupa di grafica e siti web e ha dato lavoro ad una trentina di persone, in maggioranza italiani. Lui musulmano, gli altri cristiani: un esempio di integrazione riuscita e del contributo positivo che gli immigrati possono dare all’Italia e alla nostra economia. La storia di Mor Amar è contenuta nel libro “Stronzo nero”, scritto con l’amica e socia Caterina Amodio.

“Mio padre era ministro del governo – racconta a b-hop -. Dopo il golpe i miei genitori sono stati incarcerati. Per due mesi non abbiamo saputo nulla di loro, poi ci hanno fatto capire che erano stati torturati e uccisi. Ci hanno consigliato di fuggire perché rischiavamo anche noi la vita. Ero il più piccolo di tre fratelli, stavamo bene. Siamo dovuti fuggire tutti e tre in Senegal. In un giorno ho perso tutto. Non è facile quando succede in maniera così brutale”.
In Senegal sono stati tre anni. Lì è stato raggiunto da Coumba, la moglie, rimasta subito incinta di un bambino. Poi una decisione sofferta, quella di lasciare per un pò la famiglia ed andare in Francia in cerca di asilo politico. Entra con un passaporto diplomatico, alloggia in un centro per rifugiati, ma la trafila burocratica per ottenere l’asilo è troppo lunga. I francesi gli propongono di venire in Italia per accorciare i tempi. E così è stato. Giorni difficili tra lavoretti di fortuna e alloggi sporchi e fatiscenti. Accolto dal Cara (Centro per richiedenti asilo) di Castelnuovo di Porto in provincia di Roma, ha aspettato 6 mesi per avere finalmente il diritto all’asilo.

“Nel frattempo facevo piccoli lavoretti – prosegue -. Ho incontrato Marco Ruopoli, mi ha proposto di fare dei lavori insieme. Nel 2012, con altri tre soci, abbiamo fondato la Cooperativa “Sophia” che realizza siti web e grafica editoriale.
“Condividiamo uno stile: creare valore economico attraverso l’integrazione”, è il motto della cooperativa.
L’iniziativa sta proseguendo molto bene. Mor e Marco oggi formano studenti nelle scuole in un progetto sull’immigrazione e integrazione finanziato dalla Fondazione Nando Peretti. Dopo il lavoro un’altra notizia bella: dopo anni che non vedeva la moglie Coumba riesce ad ottenere il ricongiungimento: ora vivono tutti insieme in una casa a Roma con il bambino più grande (che oggi ha 5 anni) e il secondo figlio, di 2 anni e mezzo, nato in Italia.
“Voglio essere utile a questo Paese”, dice.
La sua filosofia esistenziale è semplice ed al tempo stesso profonda:
“In 31 anni ho sperimentato esperienze forti come se avessi vissuto una vita intera. Quando ripenso al passato sto molto male, quello che ho perso non lo riavrò mai più. Non è facile fuggire per disperazione e ritrovarsi in un Paese che non è tuo, in una cultura completamente diversa, con i tuoi cari perduti o lontani. Ma oggi sto bene. Cerco sempre di essere felice per quello che ho oggi: la mia famiglia, il mio tempo, il mio lavoro. Voglio essere utile a questo Paese, cercare di fare qualcosa di positivo per l’Italia. Per me è fondamentale poter lavorare e condividere con altri, anche se siamo di appartenenza religiosa e nazionalità diverse. C’è molto rispetto tra di noi”.
I fratelli di Mor sono rimasti in Senegal, il più grande ha lavorato duramente per sostenerlo anche economicamente nel suo viaggio verso l’Europa. “L’anno scorso sono riuscito a tornare per rivederli – dice -. Ma in Mauritania non potrò andare mai più, e questo è molto duro. Ci vorrà tempo per rimarginare le ferite”.
La cooperativa Sophia è la dimostrazione di quanto l’immigrazione possa creare anche opportunità occupazionali.
“Non è vero che i migranti rubano il lavoro. Abbiamo tanti collaboratori, tra cui una ventina di italiani. Io pago le tasse, i miei figli vanno all’asilo, mi sento parte della società e dello sviluppo di questo Paese. Molti altri come me fanno lo stesso”.