Idomeni. Un’enorme distesa senza senso dove sono accampate circa 12 mila anime. Profughi, persone per lo più provenienti da un Medio Oriente in fiamme che si assiepano lungo l’immaginaria linea di confine fra Grecia e Macedonia, nella speranza che i tanto declamati borders, frontiere, possano finalmente aprirsi. Le condizioni igieniche della tendopoli informale sono al limite dell’epidemia: le piogge stagionali hanno fatto sì che la terra si mischiasse con avanzi di cibo, vestiti sporchi, cumuli di spazzatura e plastica bruciata; un magma di fango, vergogna e dolore che urla al cielo la pesante assenza delle istituzioni. I bagni chimici non sono sufficienti: il solo passarci vicino provoca il volta stomaco per l’indicibile puzza di feci.
Alle tende allestite da Unhcr e Medicins sans frontiere si sommano le migliaia di tendine da campeggio colorate, comprate dai profughi: sembra di assistere a un ridicolo carnevale che contrasta con il cielo carico di una tristezza grigia, come lo sberleffo di un arlecchino a un ingessato burocrate dal colletto bianco.
Fino a pochi giorni fa il clima era rigido, e gli abitanti della tendopoli si scaldavano con pesanti ciocchi di legna che animavano falò improvvisati; il rischio di incendio è elevatissimo, dato che basterebbe una scintilla a trasformare in fuoco le tante case di plastica. Anche sul fronte alimentare le cose non vanno meglio; i profughi sono “avvelenati” dalla continua distribuzione di panini e biscotti tre volte al giorno, il che poteva avere un senso fino al 7 marzo scorso quando il confine macedone era permeabile. Un pasto veloce, per chi non ha tempo da perdere. Ma ora, il pane è diventato indigesto per popoli abituati a tutt’altro tipo di alimentazione, senza contare che l’idea del fast food ha in bocca il sapore di un’amara ironia per chi, invece, è costretto a una sosta forzata.
Solo un’associazione di volontari greci, Kitchen from the world, cucina un pranzo caldo a base di riso e verdure; sono uomini e donne di buona volontà che preparano il cibo all’aperto, in grandi pentoloni di alluminio che bollono su fornelli da campeggio, mentre cercano di controllare i bambini afghani che sgattaiolano da tutte parti per rubare le carote fresche.
A Idomeni manca tutto. Mancano giochi per gli oltre 4 mila bambini presenti nella tendopoli, mancano vestiti puliti o almeno una lavanderia da campo decente in cui le persone possano fare il bucato; manca un’alimentazione adeguata, mancano spazi per la preghiera (le cosiddette tende-chiesa o tende moschea). Mancano operatori umanitari esperti che possano ascoltare i profughi, le loro storie, e offrire loro un’informazione che abbia lo scopo orientativo: in tantissimi infatti, non sono minimamente a conoscenza del vergognoso accordo sottoscritto dai 28 Stati dell’Ue con la Turchia lo scorso 18 marzo, dei 6 miliardi di euro sborsati sull’unghia europea per stipare i milioni di profughi come bestie, nel grande ranch del cowboy Erdogan.
Nel frattempo la situazione in Grecia diventa sempre più rovente, e gli esuli in fuga sono come l’aria soffiata da un mantice che attizza la carbonella dell’annosa crisi economica. Continuano a fiorire nuove tendopoli come quelle di Policastro e Cherso poco distanti da Idomeni. In particolare quella di Cherso, gestita dall’esercito, ospita attualmente circa 4 mila persone di cui il 60% sono bambini: le docce presenti nel campo sono solo tre per migliaia di individui . È facile incontrare all’uscita del campo numerose mamme siriane con bambini al seguito che chiedono gentilmente ai passanti la possibilità di farsi una shower, doccia.
Problematica anche la situazione sul fronte ateniese. Al porto del Pireo sono circa 4/5 mila, le persone accampate lungo i moli o nelle sale d’attesa da cui sono state divelte le sedie per creare nuovi posti letto. Centinaia i casi giornalieri di febbre, vomito e diarrea.
Totalmente assente la polizia, come testimoniano gli scontri di pochi giorni fra “bande” di afghani e siriani, che se le sono date a suon di cinghiate per questioni legate all’etnia. Oltre capienza massima sono i campi di Elionas, Scistò ed Ellinikò. Pieni anche i due alberghi affittati dalla Caritas greca, nella zona di Omonia, che da dicembre scorso hanno dato accoglienza a più di 10 mila persone, soprattutto famiglie con bambini piccoli e soggetti estremamente vulnerabili, come anziani e disabili.
“Prima le famiglie si fermavano per pochi giorni, per poi proseguire il loro viaggio lungo la rotta balcanica”, racconta Christos P. responsabile del progetto alberghi per Caritas Hellas. “Ora invece gli accolti si fermano per intere settimane, e hanno bisogno di tutto: ogni giorno alle stesse persone, spieghiamo più volte come andare dal dottore, come prendere la metro e muoversi per la città, insomma, come funziona il mondo qui. Immagina cosa può voler dire abbandonare la terra dove sei nato e cresciuto, per trovarti catapultato in una realtà che è altro da te. Quella che ci si prospetta è una sfida educativa molto complessa”, conclude Christos.
Una sfida che è stata raccolta solo da associazioni, ong locali e internazionali e dalla buona coscienza del popolo greco. Il governo di Tsipras sulla questione dei profughi si comporta da buon figlio d’Europa: semplicemente, se ne lava le mani.