di Massimo Lavena – “Stephanie Frappart non è un nome sconosciuto, ha già un ampio palmarès di gare internazionali femminili e maschili disputate”: Laura Scanu è molto chiara nel rispondere alle nostre domande. Laureata in scienze politiche, dopo tanti anni di attività sui campi di calcio e di calcio a 5, oggi è membro della Commissione Arbitri Nazionale per il Calcio a 5 (CAN 5).
Chi meglio di lei poteva guidarci in una riflessione sull’evoluzione della donna nel mondo di quelli che un tempo erano le “giacchette nere” ed oggi sfoggiano sgargianti completini multicolori?
Siamo partiti da Stephanie Frappart, l’arbitro francese che è stata la prima donna ad arbitrare una gara di Champions League maschile: ma non è stato altro che una tappa – che le auguriamo non sia l’ultima – di una carriera già ampiamente raccontata e ricca di soddisfazioni.
Ma adesso cosa rappresenta per il movimento arbitrale femminile e per lo sport femminile questo traguardo raggiunto da Stephanie Frappart, che ha goduto di una visibilità internazionale ed un ritorno televisivo enorme?
Rappresenta un risultato che attendevamo da anni ma non deve stupire eccessivamente o essere vissuto come un grave ritardo: arrivare a certi traguardi è un risultato eccezionale per chiunque. Gli uomini ci sono arrivati prima perché arbitrano da più tempo (in Italia l’arbitraggio è stato aperto alle donne nel 1990) e sono numericamente molti di più, ma la competizione è fortissima; basti pensare che nel nostro campionato di serie A militano circa 20 arbitri e che gli associati sono 32 mila. Insomma, una questione di tempi e di numeri prima ancora che di genere.
Laura & Laura
Qual è il controsenso di questa notizia? Perché deve ancora far scalpore e gridare al miracolo comunicativo che una donna arbitri gli uomini?
Le donne si misurano, con numeri nettamente inferiori, in uno scenario fortemente competitivo avendo un naturale svantaggio fisico (la forza muscolare, la velocità, per non parlare della maternità): a fronte di questo, la notizia che una donna arrivi ai livelli di un uomo è un risultato notevole che in termini di comunicazione equivale a dire
nonostante gli ostacoli, ce la giochiamo alla pari.
A livello locale, data la notevole esperienza sia sui campi che come dirigente, quale è la possibilità che le ragazze si mettano ad arbitrare, anche alla luce dei condizionamenti sociali italiani?
Ai calciatori e al pubblico non importa che il direttore di gara sia un uomo o una donna, importa solo che arbitri bene:
qualunque diffidenza iniziale è fugata se la prestazione è adeguata. Non credo ci siano resistenze sociali e culturali peculiari nel mondo sportivo e calcistico, credo ci siano retaggi sociali e culturali in tutti i settori della società in cui viviamo: per usare un termine calcistico, direi che la questione di genere è a tutto campo.
In molti sport olimpici gli arbitri ed i giudici sono indistintamente donne e uomini. Che dazio paga ancora il calcio? Non è una cosa soltanto italiana? Cosa sogni per il futuro molto prossimo?
Nel calcio, a mio parere, le donne pagano essenzialmente un dazio fisico/atletico, sul piano tecnico non c’è alcuna differenza. La dimostrazione è data dal fatto che in una disciplina come il calcio a 5, in cui le ridotte dimensioni del rettangolo di gioco si conciliano meglio con le caratteristiche femminili, le donne offrono prestazioni atletiche competitive che, unite ad ottime doti tecniche, le portano ai medesimi risultati degli uomini. Attualmente nell’organico nazionale del calcio a 5 ci sono 372 arbitri, di cui 25 donne, 4 delle quali militano in serie A e una è tra i migliori arbitri internazionali al mondo.
Laura Scanu
“Per il futuro – conclude – sogno sempre maggiori soddisfazioni per le donne arbitro. Le pari opportunità sono anche una questione di numeri, se il rapporto è di uno a 100 emergere è più difficile: dobbiamo creare le condizioni per riequilibrare la rappresentanza anche con qualche forzatura, se necessario. I contesti in cui uomini e donne si misurano in modo equilibrato sono più belli e sfidanti per tutti”.
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Cagliaritano, nato il giorno della befana del 1966. Io b-hop perché ho sempre amato mangiare e cucinare, la musica, lo sport, il cinema. Sogno un giorno di andare in Namibia, o nella Terra del Fuoco, o nello Saskhatchewan, o in Nuova Zelanda. Sognavo anche di andare nelle Isole Svalbard, ma adesso è vietato, troppi orsi bianchi! E non essendocene in Sardegna non saprei come comportarmi.