di Lorenzo Pagano (studente del primo anno del Liceo Righi di Roma) – Con la riapertura di molte scuole superiori oggi si torna in presenza al 50%, seppure nell’incertezza e nei rischi di nuove chiusure.
Rientrano nuovamente in classe oltre 640 mila studenti di quattro Regioni italiane: i 256 mila del Lazio, i 13 mila del Molise, i 176 mila del Piemonte e i 196 mila dell’Emilia Romagna. Toscana, Valle d’Aosta e Abruzzo già dall’11 gennaio frequentano in presenza al 50%. In Trentino le scuole hanno riaperto dal 7 gennaio.
Una mezza vittoria per gli studenti italiani, come emerge dalla tre giorni di protesta contro la didattica a distanza, dall’11 al 13 gennaio, organizzata dai ragazzi del Liceo Augusto Righi di Roma, per chiedere un rientro a scuola in sicurezza. Sono stati organizzati dei sit in, anche a Villa Borghese, nel rispetto delle norme anti-Covid, con l’obbligo di effettuare una turnazione tra classi. Lo scenario dell’ultimo giorno è stato Piazza del Popolo dove si sono riuniti circa 500 studenti del Liceo.

Due studenti del quarto anno della scuola romana, Diana Gentile e Paolo Versini, hanno spiegato a B-hop magazine le motivazioni della protesta e le criticità in cui vivono gli studenti in questo periodo.
Il Comitato Studentesco del Righi ha scelto di sostenere la protesta nazionale. Quali sono i motivi che vi hanno spinto ad aderire alla mobilitazione nazionale?
C’è stata sicuramente una progressiva presa di consapevolezza degli studenti del Righi, e quindi del Comitato Studentesco del Liceo, riguardo una situazione grave che non accenna a migliorare. Ci riferiamo al fatto che la scuola, con decisioni tardive, controproducenti e scarsi investimenti, sia stata ritenuta non fondamentale per il paese. Riteniamo che una parola chiave della nostra protesta sia “continuità”. Vogliamo che la scuola in presenza torni il prima possibile, una volta assicurate le giuste condizioni di sicurezza, e che non sia soggetta a ripetute chiusure e riaperture.
Dar vita ad una protesta è, senza dubbio, una decisione netta. Credete che si possano raggiungere gli obiettivi prefissati e che lo scopo originario sarà raggiunto, magari solo in parte?
Noi siamo scesi in piazza per tre giorni, reclamando il nostro diritto ad un’istruzione continua ed efficace, inclusiva e stimolante. Non è ammissibile che non si raggiungano gli obiettivi; il futuro del Paese e dei giovani è una questione prioritaria. Ciò non toglie che questo dipenderà dal riscontro che avremo con le istituzioni, le quali devono ascoltare e prendere atto di questa protesta e impegnarsi per sanare i problemi che gravano sulla scuola da diversi decenni e che con la pandemia sono stati messi in risalto.
In merito alla probabile riapertura generale, non solo rispetto alla scuola, quali sono i settori che devono avere la priorità e quali quelli che possono ancora essere fermi?
Durante una pandemia, è fondamentale la capacità di reinventarsi. Qualunque attività che non sia in grado di mantenere condizioni di sicurezza più che accettabili non può rimanere aperta. Ma qualora si rispettassero le condizioni di sicurezza, mantenere chiusa una qualsiasi impresa sarebbe deleterio per l’economia dell’Italia.

Come giudicate la gestione della pandemia? Ritenete che le decisioni del governo siano state adeguate o che qualcosa andasse fatto diversamente?
Crediamo che il governo non sia stato all’altezza del suo compito; ad esempio, la completa riapertura di quest’estate, discoteche incluse. Riteniamo ci sia stata non solo una mancanza di competenza, ma anche di volontà sia nell’organizzazione di una ripresa sicura delle attività didattiche in presenza e che di quelle commerciali. Poi, sul sistema dei trasporti, che si è rivelato il tallone d’Achille di una riapertura gestita già in modo alquanto controverso, non ci risulta che siano stati fatti interventi significativi.
Tornando alla scuola, cosa dovrebbe fare ora il governo per permettere una riapertura in sicurezza?
Evitare di prendere decisioni affrettate sicuramente è cruciale: un rientro prematuro sarebbe controproducente. Abbiamo visto che i contagi in maggioranza sono avvenuti fuori dalle mura scolastiche. Questo è indicativo del fatto che il potenziamento dei trasporti gioca un ruolo chiave nella riapertura in sicurezza, tanto quanto la prontezza nella comunicazione tra Scuola e Asl, a beneficio di un tracciamento più efficiente dei contagi.
C’è qualcosa che gli studenti dovrebbero fare per permettere la riapertura delle scuole?
Abbiamo visto come sia frequente incolpare i giovani del problema sanitario. È necessaria responsabilità, da parte di chiunque, indipendentemente dall’età. La riapertura necessita del rispetto delle normative anti-Covid19 in aula come al ristorante, a casa e sull’autobus.

Si è molto discusso sulla DaD. C’è chi la sostiene e chi vorrebbe tornare alla didattica completamente in presenza. Che cosa ne pensate e come credete stia influendo sulla vita degli studenti?
La DaD, ad oggi, è un elemento fondamentale nell’istruzione, del quale sicuramente non si può fare a meno. Utile in situazioni di emergenza come quella che stiamo vivendo, però, non si può abusarne. La DaD non assicura il diritto di studio a tutti gli studenti, marcando i divari socio economici che già caratterizzavano il nostro Paese prima della pandemia. Sono drammatici i dati riguardanti l’aumento del tasso di abbandono alle scuole superiori, tanto quanto quelli riguardanti gli aumenti di casi di depressione in età adolescenziale.
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