(testi e foto di Nadia Boccale) – Abbiamo bisogno di riti, di momenti in cui sentirci radicati in una storia e in una comunità. Anche oggi, nell’Italia degli anni 2000, si svolgono celebrazioni collettive che hanno origine antiche e sono legate a culti religiosi. E’ in questo filone che si inserisce la celebre festa del trasporto della statua di Santa Rosa che si svolge ogni anno a Viterbo rigorosamente la sera del 3 settembre, in qualsiasi giorno della settimana capiti la data.
Esiste una Rete delle grandi macchine a spalla italiane, un’associazione, nata nel 2006, che include quattro feste religiose cattoliche: la macchina di Santa Rosa di Viterbo, la Festa dei Gigli di Nola, la Varia di Palmi e la Faradda di li candareri di Sassari.
Dal 2013 la Rete è stata inserita nel Patrimonio culturale orale e immateriale dell’umanità dall’UNESCO. Un tempo ne faceva parte anche la festa dei Ceri di Gubbio, ma ne è uscita nel 2010 per presentare una candidatura autonoma.
Santa Rosa è la patrona di Viterbo; era una giovane viterbese nata nel 1233 e morta a 18 anni; era una terziaria francescana che prese una forte posizione a favore del Papa nella guerra tra guelfi e ghibellini e, per questo, fu mandata in esilio dal podestà di Viterbo.
Il giorno della sua festa, in realtà, è il 4 settembre ma la sera del 3 si ricorda la traslazione del suo corpo dalla Chiesa di Santa Maria in poggio (detta della Crocetta) alla chiesa di Santa Maria delle Rose avvenuta per volontà di Papa Alessandro IV nel 1258, quando il corpo di Rosa, che era stato sepolto direttamente nella terra nel 1251, fu ritrovato integro.
Il rito del trasporto della statua è immediatamente successivo al 1258; inizialmente l’immagine o la statua di Santa Rosa era posta su un baldacchino illuminato che, negli anni, si è innalzato ed arricchito fino ad arrivare agli attuali 30 metri di altezza e 5 tonnellate di peso: la macchina di Santa Rosa.
La macchina è un enorme gigante che, per una sera l’anno, domina la città percorrendola nel buio, unica e maestosa fonte di luce. E’ illuminata da candele e luci elettriche; oggi è costruita in moderno vetroresina ma, un tempo, era costruita con cartapesta, legno e ferro.
E’ trasportata a spalla da cento uomini chiamati i “facchini di Santa Rosa” coordinati da un capo facchino e coadiuvati da altre decine di uomini, le “guide”, che indirizzano i cambi di direzione e le delicate operazioni di sollevamento e posa della “macchina” nei punti di sosta. Il percorso è di circa un chilometro, tra piazze e vie talvolta molto strette.
Essere un facchino di Santa Rosa è un grande onore e una notevole responsabilità.
Per ricoprire il ruolo occorre superare delle prove, non solo di forza, ma anche di capacità di coordinazione con il resto del gruppo.
Racconta Antonella Fiorentini, nipote di uno storico facchino di Bagnaia, Nunzio Serafini, che suo zio aveva sviluppato una deformità sulla schiena, un gibbo sul dorso, causata dal trasporto della macchina e che, tuttavia, “non avrebbe mai rinunciato al suo compito e al suo ruolo”.
Assistere al passaggio della macchina è davvero emozionante. La partenza avviene sempre alle ore 21.00 ma occorre arrivare in anticipo per conquistare un buon posto e godere del suo passaggio.
Nell’attesa dell’arrivo del “gigante buono” è normale ritrovarsi a far parte di un grande gruppo di amici con perfetti sconosciuti e, per impiegare il tempo, l’attività principale è quella di ascoltare/raccontare tutte le tradizioni legate al trasporto della macchina e episodi ad essa collegati.
Ad esempio è tradizione che una settimana prima della festa i facchini si incontrino per un’ ultima prova generale ed in quella occasione offrono, in onore di Santa Rosa, una cena in piazza aperta a tutti coloro che vogliono partecipare.
L’emozione si fa vibrante quando, tra chiacchiere e risate, arrivata l’ora, si spengono tutte le luci, segno che la macchina sta per arrivare.
Si crea un’atmosfera sospesa come se un unico corpo costituito da centinaia di persone stesse trattenendo lo stesso respiro.
Una vibrazione arriva sottile dal terreno e finalmente arriva lei, la regina, l’enorme pinnacolo illuminato, splendido e trionfale che avanza dondolando
lievemente tra le grida di saluto alla santa e le grida di incitazione ai facchini.
Terminato il passaggio le luci si riaccendono e il respiro trattenuto, lentamente, riprende la sua regolarità; un’allegria palpabile scorre nella marea umana che, liberata dalle transenne, si sposta per raggiungere conoscenti, bere un bicchiere di vino, mangiare una ciambella fritta o seguire il percorso della santa.
Il rito è compiuto, il buon umore è ovunque insieme alla sensazione che, almeno per una sera, in fondo, tutto va bene.
I viterbesi amano la macchina di Santa Rosa; quelli che, per motivi di vita o di lavoro, vivono in altre città italiane o estere, seguono il rito in diretta trasmesso in tv (TV2000, Sky canale 157), in streaming, su Facebook e su Youtube.
E’ un modo per nutrire le proprie radici, per tenere viva un’appartenenza e, forse, per sentirsi meno soli. Quindi: Viva santa Rosa!
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