di Luigi De Santis – Un monumento naturale sorprendente e di grande fascino a soli 50 km da Roma: è la Caldara di Manziana, istituita dalla Regione Lazio nel 1988 ed è all’interno del Parco Naturale Regionale Bracciano-Martignano, creato nel 1999. E’ un ecosistema complesso, caratterizzato da elementi che troviamo solo in questo microhabitat.
Estesa 90 ettari, fa parte dell’Università Agraria di Manziana (proprietaria anche del vicino e interessantissimo bosco di Macchia Grande), un ente pubblico proprietario e gestore di territori in cui vige l’uso civico (pascolo, legnatico, raccolta funghi, ecc.). Da precisare che non si tratta di una facoltà universitaria di agraria.
La Caldara di Manziana rappresenta un luogo di importanza non solo geologica, ma anche naturalistica: l’area, infatti, è inserita nella rete europea Natura 2000, in quanto è Sito di interesse comunitario (SIC).
Si trova nella parte sud-occidentale del distretto vulcanico sabatino e
assomiglia ad un laghetto, una depressione dove al centro è presente una “polla”,
che rappresenta l’attività idrotermale tardiva: consiste principalmente nell’emissione di gas dalla sorgente perenne di acqua termale, costituita da idrogeno solforato e anidride carbonica.

Questi gas, che continuano a risalire dal profondo, sono responsabili di quelle manifestazioni che sembrano far ribollire l’acqua o il fango di polle e laghetti. Studi recenti hanno stimato la temperatura della sorgente di calore sottostante di circa 260 °C, che invece esce in superficie a 20 gradi °C, con deposizione di concrezioni solfuree bianche, grigie, gialle. L’anidride carbonica, inodore, incolore e più pesante dell’aria, tende ad accumularsi al suolo e può diventare tossica, soprattutto per i piccoli mammiferi.
I legionari romani, al ritorno da spedizioni in terre lontane, venivano qui a fare i bagni per liberarsi da eventuali malattie esotiche, prima di far rientro a Roma.
Queste acque e questi fanghi sono apprezzate da sempre per le malattie della pelle.
Camminando nel centro della depressione il terreno diviene morbido e risuona come fosse vuoto: è la torbiera, un accumulo di sostanze organiche, soprattutto vegetali.
A livello floristico è molto importante la presenza insolita di un bosco di betulle, una specie diffusa nei paesi nordici e in montagna. Qui siamo invece a 250 metri sul livello del mare, dove prevale una vegetazione di tipo mediterraneo, oltre a querceti e castagneti, molto probabilmente un relitto postglaciale: durante l’ultima glaciazione, foreste di betulle avrebbero colonizzato latitudini più basse, ma al momento del ritiro dei ghiacci un lembo di foresta ha trovato alla Caldara un ambiente adatto per sopravvivere e riprodursi, anche se sono deboli e molte cadono. Un recente grave incendio nella zona ha distrutto un castagneto limitrofo alle betulle e le ha indebolite ulteriormente.

Altre specie della ricca vegetazione del luogo sono il castagno, la quercia (cerro, roverella, farnetto), il nocciolo, l’ontano, che costeggia il Rio della Caldara ed anche una graminacea, l’agrostis (tipica di questi ambienti), la ginestra con i suoi fiori gialli e la cannuccia di palude.
Per quanto riguarda la fauna, tra gli uccelli vi sono molti rapaci provenienti dai vicini monti della Tolfa e qualche airone cinerino. Frequenti il cuculo e l’upupa ed è facile riconoscere il tambureggiare sugli alberi del picchio. Tra i mammiferi la volpe, il cinghiale, il tasso, la faina, l’istrice.
Numerosi sentieri permettono di visitare agevolmente il Monumento, collegandolo anche ad altri luoghi vicini molto importanti, quali la Cerreta di Macchia Grande, il Casale delle Pietrische e le Cascate di Castel Giuliano. L’ingresso è gratuito.