dalla nostra corrispondente ad Atene – Le strade delle città, dei villaggi delle isole greche, spesso risuonano verso sera di una musica antica e sempre attuale come il rebetiko. Questo generale musicale tradizionale in Grecia viene suonato nei locali, nelle taverne, ma anche nelle case, con le ombre di suonatori domestici, non addomesticati, che si muovono nere contro i muri illuminati a caldo. Un teatro improvvisato delle ombre.
È una melodia antica, il rebetiko, che non ha mai smesso di essere suonata in Grecia, ancor di più in questi tempi di crisi; forse perché il concetto di crisi, dal verbo krino, separare, dividere, è adatto al rebetiko che è una musica nata da una separazione. Una musica che continua nel tempo ad accompagnare le vite dei greci, che nelle taverne cantano all’unisono canzoni di memoria condivisa; una sorta di colonna sonora della storia di una nazione.
Ed è bello fermarsi in strada e rubare qualche attimo di vita privata, perdendosi nell’ascolto di questa musica dolce e tagliente, osservando sagome di strumenti, bocche e riccioli scuri, che si muovono in maniera ritmicamente ripetitiva, cadenzata. Quelle case, interamente dipinte dalle stesse ombre dei suonatori, sembrano quasi dei templi antichi che conservano nei naos, i Sancta Sanctorum del tempio, la venerata statua antropomorfa di un dio che impersonava una qualche forza della Natura: il Mare, l’Amore, la Morte, il Tempo. Quelle case nei loro naos, sono luoghi di culto della Musica che porta il nome di Rebetiko.
Rebetiko viene dal turco, rebet, ribelle. Come bouzouki, uno degli strumenti fondamentali a metà tra un liuto e un mandolino dal collo allungato, che deriva dalla parola bozuk, errore, forse perché accordandolo spesso uscivano dei suoni “sbagliati”. O forse perché il rebetiko è la musica dell’errore, dei disadattati, di chi è portato per sua natura a sbagliare.
Il rebetiko ha origini oscure. Nasce dall’incontro tra la cultura greca e turca, con innesti di elementi europei e di tutte quelle civiltà che si incrociavano nel Mediterraneo meticcio d’inizio ’900. Ma è dopo la cosiddetta Catastrofe di Smirne del 1922, dopo la drammatica separazione fra Grecia e Turchia, che tutti questi elementi convergono nel Paese: l’enorme ondata di profughi greci provenienti dall’Asia Minore, spinse in un unico luogo le varie tradizioni musicali, dando acqua viva ai germogli della musica rebetika, che in poco tempo crebbe come pianta forte
La memoria del rebetiko, è però una memoria che fa male; canta di amori traditi, feriti, canta della vita in carcere e canta della katastrofì di Smirne, causata dai Turchi e dall’Europa, e che i Greci dopo quasi cento anni si ostinano a non voler perdonare e dimenticare. Come a voler sottolineare che si impara dai propri errori, non bisogna nasconderli, sono fonte di consapevolezza, di vita profonda. Pàthei màthos, dalla sofferenza la conoscenza, come direbbe il drammaturgo Eschilo. Sembra quasi che i rebetes siano andati a sostituire gli aedi e i rapsodi dei tempi omerici, custodi di una memoria storica, che veniva cantata di generazione in generazione, trasmessa in eredità.
I rebetes cantano canzoni in cui ciascuno può ritrovare le sue radici, di uomo, di greco e forse è proprio questo che commuove, che ti fa sentire una parte di un tutto ogni volta che li ascolti.