(di Patrizia Caiffa) – Una capanna sudatoria costruita con rami di salice, un fuoco, l’acqua, le pietre, il tamburo, i canti, le preghiere, il vapore. E una via spirituale e sacra da camminare con il cuore. In un luogo buio, magico e senza tempo dove uomini e donne si riuniscono per sudare e pregare, per rientrare simbolicamente nel grembo di Madre Terra, in contatto profondo con la natura e il proprio spazio sacro spirituale.
E’ l’antica cerimonia della capanna sudatoria o Inipi, che è alla base di tutti i sette riti della Via Rossa, la via spirituale dei nativi Lakota (che i colonizzatori francesi chiamarono erroneamente Sioux) delle riserve del South Dakota. Da anni la Via Rossa è arrivata anche in Italia. Sono molti i gruppi guidati da leader italiani che hanno appreso gli insegnamenti antichi direttamente dai medicin men o medicin women Lakota.
Come se fosse un dono per gli occidentali persi in un vuoto di senso e di relazioni vere, in un materialismo e in uno stile di vita lontano dal divino, dalla terra e dal cielo. Per insegnare a ritrovare ciò che abbiamo smarrito. Quasi una sorta di riscatto storico e culturale di un popolo saggio che è stato ingannato, derubato e oppresso dai conquistatori della loro terra.
Negli Stati Uniti, tra le diverse tribù native, non tutti concordano nell’aprire le cerimonie ai “bianchi”, per il timore di corrompere la propria spiritualità o di farne in qualche modo, commercio; come avviene per i gadget che riproducono gli oggetti sacri degli indiani d’America, oramai reperibili ovunque. Di fatto, le cerimonie della Via Rossa vengono frequentate da sempre più persone. La discriminante è il rispetto e la purezza di intenzioni con cui ci si avvicina ad esse.
Dopo aver arroventato per ore decine di pietre sul fuoco sacro, i partecipanti all’Inipi entrano nel buio della capanna per pregare, mentre il celebrante versa l’acqua sulle pietre, sistemate in una fossa all’interno. L’enorme calore e il sudore che ne deriva abbassano le difese mentali e permettono di accedere ad altri, misteriosi spazi. La preghiera, per chi crede, è in grado di guarire fisicamente o interiormente.
Le sette cerimonie della tradizione, oltre all’Inipi, sono la Ricerca della Visione (Hanbleceya), la Danza del Sole (Wiwanyag wacipi), il prendersi cura di una donna nel Tempo della Luna (Isnati Yapi, ossia durante il periodo sacro delle mestruazioni), la creazione di parentele e relazioni (Hunka Yapi), il lancio della palla (Tapa Skata Pi), onorare lo spirito di un defunto (Wasi Glapi).
Durante l’Hanbleceya (che significa “piangere per ricevere una visione”) le persone si impegnano a salire per almeno quattro anni consecutivi sulla montagna, nel bosco, dove rimangono senza cibo ed acqua per due o tre giorni. Da soli, a contatto con la natura e con gli animali, trascorrono quel tempo in un altare sacro, un piccolo recinto delimitato dai nodi di preghiera (fatti con stoffa e tabacco) dei sette colori delle direzioni raffigurate nella Ruota di medicina: nord/sud/est/ovest/terra/cielo/nord-ovest. Ad ogni direzione corrisponde un colore con precisi significati, che variano a seconda delle tribù e dei leader. Al primo anno, dopo aver condiviso la propria esperienza o “visione”, la persona riceve il proprio nome sacro.
Il rito più importante perché coinvolge ogni estate tutte le comunità native è la Danza del Sole, vietata fino a pochi decenni fa dagli americani perché considerata “barbara”. All’interno di questa cerimonia ricchissima e complessa, durante la quale i partecipanti danzano e pregano sotto un sole spietato per quattro giorni, a digiuno di acqua e cibo, è compreso il piercing, ossia la trafittura e strappo di un pezzetto di carne, appesi con una corda all’albero sacro. “So che il piercing è difficile da comprendere per la cultura occidentale – spiega Cetan, un’anziana leader Lakota della tribù Oglala che vive in South Dakota e trasmette i suoi insegnamenti agli italiani -. Ma per noi è un gesto sacro. Significa offrire allo Spirito, come preghiera e ringraziamento, l’unica cosa che realmente possediamo: il nostro corpo”.
Tutte le cerimonie sono una esperienza personale ma anche di gruppo, vista l’importanza data alle relazioni. Non è un caso che la frase-preghiera più usata nella Via Rossa è: Mitakuye oyasin, che significa “Per tutte le relazioni” o “Tutto è collegato”.
E’ una strada che insegna a pregare con il cuore, in sintonia con la natura e con il divino che è ovunque.
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