(di Silvia Compagno) – Fuggita dalla guerra, venduta in Libia. “Quando ho capito di essere arrivata in Italia, ho saputo di essere libera”. Seduta di fronte a me, Fatou*, senegalese di 42 anni, non mostra alcun ripensamento nell’affidare ad una sconosciuta la storia di dolorosa libertà che l’ha condotta dal Senegal fino in Italia, precisamente a Fiuggi, città termale della provincia di Frosinone.
“Mi sono sposata a 13 anni e ho avuto il primo figlio a 15, ma non è sopravvissuto. A questo, ne sono poi seguiti altri cinque: la più grande ha oggi 22 anni e il più piccolo 13. Prima di partire, ho dovuto nasconderli in un villaggio per paura che mio marito li trovasse. Lui è un ribelle, un guerriero, ed io sono fuggita dalle sue violenze”.
La regione da cui Fatou proviene si chiama Casamance, una piccola striscia di terra con poco più di un milione di abitanti al confine con il Gambia. Qui, da quasi 40 anni, si combatte una guerra a bassa intensità per l’indipendenza dal Senegal, con fasi alterne di tregua, accordi di pace che non reggono e nuove recrudescenze.
“Non ho memoria di un passato senza conflitto. Mio marito ne è coinvolto: passa mesi fuori casa, combattendo e facendo uso di alcool e droghe. Avrei voluto chiedere il divorzio ma sapevo che non lo avrebbe concesso. Lo conosco: se mi trovasse mi ucciderebbe. Per questo volevo fuggire il più lontano possibile ma non pensavo di finire in Italia”.
La sua prima tappa è il Niger, dove resta per un anno riuscendo a mantenersi grazie ad un lavoro. Poi qualcuno la convince a spostarsi in Libia con la promessa di un lavoro migliore nel campo della ristorazione.
Non sa che è una trappola: finisce nelle mani di criminali senza scrupoli e trafficanti di uomini.
“Sono stata venduta più volte e obbligata a prostituirmi. Da ultimo, costretta ad imbarcarmi verso l’Italia. È stata molto dura”.
La commozione è forte, anche al pensiero dei figli rimasti in patria e che spera possano un giorno raggiungerla in Italia.

A Fiuggi abita da due anni anche Amadou, 29 anni, proveniente dalla regione di Koulikoro, in Mali. Interrompe per un’oretta il suo lavoro di giardiniere e racconta la sua storia in un francese disordinato.
Ha iniziato a lavorare da ragazzino, seguendo il padre e imparando il mestiere di muratore. Dopo la sua morte, decide di partire per il Nord Africa, più ricco rispetto agli Stati Sub-sahariani.
È il 2011 quando arriva in Algeria. Qui continua a lavorare come muratore e giardiniere fino a quando, anche lui, viene convinto ad andare in Libia.
Come Fatou, finisce nelle mani di un “patron” che lo sfrutta senza mai retribuirlo. Fa esperienza delle prigioni libiche, di cui porta i segni sul corpo e infine viene venduto ai trafficanti.
“Un giorno il patron mi chiama e mi dice: domani alle 9 di sera dovrai farti trovare alla spiaggia. Non sapevo cosa sarebbe successo e dove mi avrebbero portato. C’erano molti altri africani, per gli arabi sono merce di scambio”.
Gli chiedo cosa ha provato in quel momento, se ha avuto paura. “Ho capito che di fronte a me
avevo solo tre possibilità: essere rispedito nelle prigioni libiche, morire in mare, arrivare in Italia. Non mi interessava morire, sarebbe stato comunque meglio che tornare nelle prigioni.
La fortuna ha voluto che arrivassi sano e salvo sulle coste siciliane”.
Fatou e Amadou oggi riscrivono la propria storia, grazie all’amicizia e alla sensibilità di una famiglia di Fiuggi, che li supporta nel trovare un nuovo equilibrio di vita.
Entrambi studiano l’italiano e provano ad inserirsi nella comunità: Amadou ha ripreso con energia ed entusiasmo il proprio lavoro di giardiniere, dandosi da fare nell’azienda agricola della famiglia.
Fatou, ancora schiva e insicura dopo sei mesi nel centro di accoglienza di Fiuggi, fatica ad intessere relazioni sociali ma ha trovato in questa famiglia la protezione e serenità che cercava.
“Qui sto bene, sono tranquilla. Anche se non ho molti amici so che gli italiani sono un popolo buono. Se ti comporti bene, nessuno ti tratterà male”.
“Il mio sogno è imparare ricette tipiche dell’Italia e mescolarne i sapori con quelli senegalesi”.
- L’opera nella foto di copertina è della pittrice Eloisa Guidarelli
- *I nomi citati sono di fantasia, per ragioni di privacy