Un “viaggio della speranza” che ha superato il deserto, il mare e lo sfruttamento e si è trasformato in un’attività imprenditoriale di successo: è il sogno realizzato di Suleman e di altri ragazzi africani della cooperativa Barikamà (che in lingua bambarà significa “resistente”), un progetto di microreddito per produrre uno yogurt biologico speciale, senza addensanti, conservanti, dolcificanti e coloranti al caseificio del Casale di Martignano, piccolo e magnifico lago a 35 km da Roma. Lo yogurt viene venduto nei mercati biologici, nei vari Gas (Gruppi di acquisto solidali) e consegnato in bicicletta a Roma e dintorni.
Suleman Diara, 30 anni, una fidanzata italiana e un bimbo in arrivo, è il presidente della cooperativa e il portavoce di Barikamà: pur non essendo andato a scuola ha imparato l’italiano presentando ovunque la loro iniziativa. Viene da un villaggio del Mali, sapeva lavorare in campagna e aveva visto fare lo yogurt.
Per il suo viaggio ci sono voluti quattro anni: prima la durezza arida del deserto, poi in Algeria a lavorare per un anno, quindi in Libia sui barconi dei trafficanti e il mare con i suoi pericoli mortali. “Eravamo in 28 in un gommone – ci racconta -, ci abbiamo messo tre giorni, il mare non era troppo agitato. Siamo stati fortunati, a noi è andata bene. Provo tanto dolore quando succedono i naufragi, quando la gente muore. Provo a dire ai miei amici del Mali quanto sia rischioso, ma non mi credono, vogliono partire lo stesso”. Sbarcato a Siracusa, è stato per un po’ in un centro d’accoglienza ma non avendo i requisiti per la richiesta d’asilo è diventato, come tanti, un irregolare.
Non potendo lavorare perché senza permesso di soggiorno, è finito nell’inevitabile trappola dello sfruttamento dei lavoratori stagionali nelle campagne. Era a Rosarno a raccogliere le arance a 50 centesimi a cassetta – 20 euro al giorno per 10 ore di lavoro – quel maledetto gennaio 2010, quando la popolazione del paese calabrese, aizzata dai soliti loschi giri, cominciò ad aggredire i braccianti, accampati in condizioni pessime. Ci furono degli scontri, addirittura spari contro gli africani, che furono costretti ad andarsene. “Ho vissuto una decina di giorni alla stazione Termini – ricorda Suleman -, non è stato un periodo facile”. Poi l’incontro con alcune persone e gruppi solidali del territorio romano e la fortunata idea, insieme ad altri amici africani.
“Abbiamo pensato a cosa sapevamo fare bene in Mali e ci è venuto in mente lo yogurt, che da noi si fa dentro una specie di zucca – spiega -. Abbiamo iniziato con 15 litri di latte a settimana e pochissime risorse. Ora ne produciamo 250 litri ogni settimana. Pratichiamo il vuoto a rendere, ovvero riutilizziamo i barattoli di vetro, dopo averli lavati e sterilizzati, che ci vengono dati vuoti alla consegna dello yogurt. Questo comporta riduzione dei rifiuti, risparmio energetico e sostenibilità economica del progetto”.
Lo yogurt ha un sapore diverso dal consueto, assomiglia più a quello greco, è più delicato. Suleman e il suo amico Aboubakar girano in bici con grandi casse nere refrigerate per consegnare le confezioni ai clienti. La cooperativa oggi inizia a ricevere dei finanziamenti e sta crescendo. Producono anche ortaggi biologici e vista la caratteristica di realtà orientata all’inserimento sociale ha perfino assunto due ragazzi con autismo che si occupano del sito e della promozione. “Adesso la gente ci saluta bene quando ci incontra. Siamo orgogliosi del nostro progetto, di saper parlare al banchetto durante i mercati, di girare per tanti quartieri di Roma, e che la gente ci dice che il nostro yogurt è buonissimo”.
Provare per credere.