(reportage dal Libano) – La spazzatura sembra essere il leitmotiv di Beirut, spesso intervallata da bambini profughi siriani che spariscono nelle montagne di sacchi neri alla ricerca di qualcosa di utile. Considerati fastidiosi scarti sociali, i piccoli siriani, come i rifiuti della società dei consumi, si ammassano agli angoli delle strade. Fermano i passanti, chiedono l’elemosina, infastidiscono con la loro presenza il libanese medio.
Secondo i dati UNHCR sono oltre un milione i profughi provenienti dalla Siria registrati in Libano, circa 300 mila nella sola Beirut; di questi, almeno 60 mila sono bambini.
Beirut. I suoi palazzi mastodontici color sabbia si stagliano arroganti contro un cielo dello stesso colore, mangiandosi con foga metri preziosi di una terra sovraffollata. E’ paradossale come queste cattedrali nel deserto, oasi di pace climatizzate nell’inferno urlante di clacson e smog libanese abbiano desertificato una città un tempo fertile animata da un positiva effervescenza culturale.
Beirut, l’ei fu Parigi del MedioOriente è ora una no man’s land caotica che si districa a fatica fra le montagne di rifiuti che annichiliscono l’aria. A nulla è servito il movimento della società civile libanese “You stink” (in arabo Tl’at rihatkom) che dall’agosto dell’anno scorso ha dato il via nella capitale a una serie di manifestazioni pacifiche per protestare contro la mancata gestione dell’emergenza rifiuti da parte della classe politica locale; una goccia quest’ultima che ha fatto traboccare il vaso del malcontento civile, dando luogo a una contestazione di ampio respiro contro la corruzione nelle istituzioni e lo stallo politico in cui versa il Paese dei cedri, da 29 mesi senza presidente.
Il Paese, stretto fra il conflitto che imperversa nella vicina nazione di Bashar al Assad e il nemico stato di Israele, si trova in una situazione di pericolosa impasse politica: già incapace di gestire i suoi 5 milioni di abitanti, il castello di carte del magico mondo libanese rischia di crollare sotto il peso di un’emergenza umanitaria che dura da quasi 6 anni.
E a farne le spese sono soprattutto i più piccoli.

“Come associazione facciamo il possibile per garantire la scuola a bambini e ragazzi siriani dai 5 ai 16 anni, ma è quasi impossibile soddisfare tutte le richieste” racconta a b-hop abuna Abdo Raad, sacerdote originario del distretto dello Shuf.

E’ presidente dell’associazione Annas Linnas, espressione araba traducibile in italiano con “Gli uni per gli altri”, una Onlus che si occupa di progetti sociali a servizio delle categorie più vulnerabili libanesi e siriane.
Nel villaggio di Nameeh, a una mezzora di auto da Beirut c’è la Charity’s Home dell’associazione; una sorta di scuola organizzata in un appartamento di poco più di 200 mq, dove ogni giorno 127 bambini e ragazzi siriani frequentano normali lezioni di arabo, matematica e inglese. Le classi sono improvvisate nelle stanze irregolari dell’abitazione, e ogni angolo dell’appartamento sembra esplodere di studenti in miniatura stipati alla meglio. Spesso dietro ogni banco ne sono seduti almeno tre.
“Le insegnanti sono profughe siriane, e fanno questo lavoro gratuitamente; diamo loro un rimborso di 100 dollari ogni due mesi almeno per coprire le spese logistiche” continua padre Abdo.
“Anche dal punto di vista dell’istruzione la situazione in Libano è diventata insostenibile: le scuole pubbliche rifiutano di ammettere alle lezioni i bambini e ragazzi siriani perché non hanno spazio, ma al tempo stesso osteggiano associazioni come la nostra che si occupano di programmi di scolarizzazione”.

La ragione “è sempre rintracciabile nei soldi: le scuole pubbliche, per ogni alunno siriano, ricevono fondi governativi e non potendo accoglierli cercano di screditare scuole parallele come la nostra, giusto per non avere un concorrente. Certamente i fondi che vengono investiti dal governo nella scuola pubblica rimangono ‘in casa’, mentre se spesi per scuole come le nostre uscirebbero dalle casse dello Stato. E intanto migliaia di bambini siriani non hanno la possibilità di frequentare le lezioni”.
Ogni mese l’affitto della casa-scuola costa all’associazione circa 1600 dollari: si cerca di fare il possibile per continuare la difficile missione. Tuttavia la vera grande incognita per il futuro è rappresentata da quella schiera di bambini mancati che non avendo avuto la possibilità di studiare, è cresciuta ai margini della società libanese.
Una generazione ombra di disadattati, animata dalla pericolosa rabbia degli innocenti.
I bambini della guerra se non accolti, ascoltati, educati saranno adulti che non sapranno o non vorranno accogliere, ascoltare, educare. Saranno adulti capaci di parlare l’unico linguaggio loro conosciuto: quello della violenza.
Dieci, cento, mille altre Siria ci aspettano nell’attesa che crescano i piccoli enfant prodige della guerra?