(di Patrizia Caiffa) – Cuba, i veri viaggiatori lo sanno. Non si conosce mai bene un popolo, un paese, se non si cerca di uscire dai percorsi turistici edulcorati e sperimentare, almeno per un po’ e per quanto possibile, come la gente vive.
A Cuba questo esperimento è più difficile che altrove: la realtà di una economia dove circola da decenni una doppia valuta – il peso per i cubani di pochissimo valore e il Cuc (peso convertible) usato prevalentemente dagli stranieri e pari al dollaro – è una chiara metafora di come cubani e turisti siano due mondi che almeno in apparenza devono restare separati. Anche sui mezzi pubblici.
Io ho scelto di non seguire quei sentieri onerosi e già segnati che fanno assomigliare anche i luoghi più spettacolari ad un grande e finto luna park per bambinoni stranieri.
Unica, necessaria concessione: una casa particular nel quartiere Vedado (El almendron rosado), qualità e prezzi onesti, assolutamente da raccomandare.
Anzi no, confesso, mi sono risparmiata anche un’altra brutta fatica: non ce l’ho fatta a salire sugli affollatissimi, puzzolenti e scalcagnati autobus pubblici. Mi ricordavano troppo quelli di Roma.
Per il resto, mi sono fatta spiegare dai cubani alcuni modi per muoversi per la città come si muovono loro, per mangiare come mangiano loro, per capire cosa pensano loro.
Ed è stato bellissimo.
Avevo già scoperto anni fa, senza volerlo, la prima volta che venni a Cuba, la singolare sensazione di viaggiare su un taxi collettivo.
Disorientata e inesperta, avevo già impiegato tutte le mie energie per capire come funzionasse la pazzesca topografia di alcune strade dell’Avana: va bene che ho una buona dimestichezza con le lettere dell’alfabeto (molto meno con la matematica), ma scoprire che in quartieri come il Vedado per raggiungere o scrivere un indirizzo bisognasse indicare un numero, due lettere, e in alcuni casi un altro numero, è stato quasi uno choc.
Calle 17 entre E y F, n. 231 “que significa?!?” Una volta avuta la geniale illuminazione, cioè che le vie si intrecciavano in perpendicolari e parallele di numeri e lettere utili ad individuare l’isolato (la quadra) e poi il numero civico della casa (quando c’è!) come in una caccia al tesoro, mi sono sentiva davvero come il Buddha appena raggiunto il Nirvana.
Per poi scoprire poco dopo, in un istante di orrore puro, che i numeri non erano successivi ma che le vie si succedevano rigorosamente dispari o pari. Una ottima gara di orientamento che avrebbe messo alla prova perfino il più esperto scout.
Quel giorno ero lì, persa su una lunga e grande avenida sotto l’umido sole dei tropici, senza bus e taxi che passavano e senza sapere come fare per arrivare al Malecon, il famoso lungomare dell’Avana.
Una habanera di mezza età, vedendomi quasi disperata, fermò con la mano una delle storiche Buick, Ford, Chevrolet o Cadillac di oltre 50 anni fa che rendono l’isola caraibica, anche per questo, unica al mondo.
Salì insieme a me e io quasi mi commossi per la sua gentilezza: due parole con l’autista, la macchina piena di almeno altre quattro persone sconosciute, 10 pesos cubani di tariffa (pochissimi centesimi di euro), destinazione assicurata
In teoria sarebbe proibito trasportare gli stranieri, ma siccome i turisti di solito pagano 1 Cuc (circa 24 pesos cubani), i tassisti molto volentieri chiudono un occhio.
Scoprii solo molto più tardi come fare per capire quali fossero, tra le tante vetture, i taxi collettivi: quasi tutte le automobili americane d’epoca che circolano per le strade. Molte sono di proprietà del governo, e i tassisti guadagnano una percentuale.
Basta alzare la mano e subito il chofer, l’autista, si accosta al marciapiedi. Chiedi una via, lui risponde no e se ne va senza guardarti, oppure sì e ti carica. In alternativa ti indica la strada più vicina a dove devi andare e se a te va bene sali, lui ti lascia lì, tu fai un pezzo a piedi e arrivi lo stesso. Semplice, economico, funzionale. Uno dei tanti espedienti creativi inventati dai cubani per sopravvivere alla scarsità e alle restrizioni.
La prima volta che sono salita da sola su un taxi collettivo di Cuba ho visto l’anziano chofer agghiacciare quando ho sbattuto con forza la rugginosa porta della Buick: un altro gesto del genere e sarebbe caduta a pezzi.
Ho imparato così ad accompagnarla dolcemente verso di me, ad aprirla nonostante non sempre ci sia la maniglia, a gustare il vento che entra dal finestrino perennemente aperto e viaggiare con i più diversi e silenziosi habaneros al ritmo di son, salse e boleros cubani.
Dal mio vecchio sedile rattoppato ho visto scorrere le vie intorno all’Avana vecchia, l’avenida Paseo o Presidente, la Plaza de la Revolucion, il Capitolio, l’Iglesia de Reina, l’Hotel Nacional e l’Habana libre, sono scesa a mangiare il mitico gelato di Coppelia, dove c’è sempre una fila infinita di cubani.
I turisti di Cuba invece, soprattutto i più intruppati nei gruppi organizzati e nei grandi hotel, sono pronti a pagare 10/20/30 dollari per salire su un lucidissimo taxi d’epoca decappottabile rosa o rosso brillante come fossero a Disneyland. Li guardavo con forte compatimento per ciò che non avrebbero mai scoperto. L’Avana vera.
P.S. Ma poi, alla fine, per non fare troppo la snob e ringraziare chi me l’ha proposto con tanta gentilezza (non il bel ragazzo alla guida…non ci cascate!!), ci sono salita anch’io…
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