di Kenji Albani – Nella frazione di Velate, sui colli a nord di Varese, ai piedi del massiccio del Campo dei Fiori si trovano i resti di un’antica torre medievale la quale, ricalcando il limes di difesa del tardo impero romano, svettava sulle valli prealpine della zona.
Il luogo in cui la Torre è stata costruita non è stato scelto a caso perché appena sotto Velate passava una via trasversale (Como – Varese – lago Maggiore) che univa due importanti discese dal nord: una che dal passo del Lucumagno raggiungeva il lago Maggiore e quindi Milano, l’altra che dal passo dello Spluga raggiungeva Lugano quindi Como quindi Milano.
Al giorno d’oggi, la Torre è il simbolo di Velate ed è tutelata dal FAI (Fondo Ambiente Italiano), anche se viene da un passato recente triste: fino al 1989 era di proprietà della famiglia Zambeletti, la quale cedette le vestigia al FAI che si occupò di ristrutturarle, dato che nessun ente pubblico se n’era interessato.
Fu la Delegazione di Varese a spingere la sede centrale della fondazione a tutelare la fortezza perché, seppur fosse pericolante, era “una delle poche vestigia rimaste nella nostra zona risalente al pieno Medioevo” dice a B-Hop magazine Guglielmo Piatti, delegato FAI a livello locale.
A questo proposito ci ha raccontato un curioso aneddoto per fare un esempio del decadimento del sito archeologico: “La zona attorno alla Torre era frequentata negli anni precedenti al restauro da giovani coppie che si appartavano. Nel 1973, durante un forte temporale, un fulmine colpì la Torre facendo cadere sulla 500 della coppia parecchi sassi, riducendola come una scatola di sardine.
Ma il Genius Loci tutelava con amore le coppie e i due giovani si salvarono”.
In questo periodo, nelle giornate FAI di primavera e di autunno, gli studenti delle scuole superiori di Varese si occupano di fare da guide ai turisti e illustrano la storia della Torre e di come sia stata costruita.
“A costruire la Torre – spiega Piatti – furono delle bravissime maestranze con conoscenze di tradizione antico romana”.

Oggi, che della Torre sono rimasti solo due lati alti più di trenta metri, sono state rinvenute le fondamenta del muro sud mentre del lato di ponente è stata trovata solo la calce, dato che in passato, in spregio alla sensibilità archeologica, gli abitanti della zona usarono i pezzi del monumento per edificare le case del paese.
Oggi, in tutta l’Insubria ci sono solo altre due torri così imponenti: una a Bellinzona e l’altra ad Angera, a sud della provincia di Varese. Riguardo a quella di Velate non si sa di preciso quando sia stata edificata ma le analisi dei legni pontai originari danno uno spettro tra il 1025 e il 1200.
Guglielmo Piatti dice: “I velatesi sono convinti che la Torre sia stata costruita dall’Arcivescovo di Milano – tale dal 1025 al 1071 – Guido da Velate, a tutela del territorio da cui proveniva”).
All’epoca della sua vita operativa, nel Ducato di Milano c’era la guerra civile fra le casate nobili dei Visconti e quella dei Torriani: in questo conflitto la Torre fu distrutta dato che “ha avuto una vita brevissima – prosegue -, perché allora chi perdeva doveva liberarsi delle proprie difese e quindi già alla fine del XII secolo era in questo stato”.
Il delegato FAI della cittadina di Varese ci ha spiegato nel dettaglio la tecnica di costruzione: “I muri sono stati costruiti a sacco, ossia è stato costruito un muro di conci (pietre lavorate) e dopo due metri un altro, poi in mezzo è stato gettato un pastone di calce viva e sassi”. E continua: “Inoltre la Torre è stata messa pietra su pietra con la tecnica della ‘resega’, cioè a ogni piano edificato la Torre si restringeva e questo è stato fatto per alleggerire la struttura”.
Altri dettagli architettonici. “In tempi moderni i condomìni sono fatti come la Torre”. Nel senso che le travi maestre in legno di castagno locale erano state messe ad alternarsi; per meglio dire al piano primo nella direzione est-ovest, al secondo piano nella direzione nord-sud, nel terzo piano di nuovo est-ovest e così via…
Al visitatore attento non sfuggono le feritoie, il cui nome preciso è “finestrelle a doppio strombo” che riprendono lo stile del periodo romanico: sono degli imbuti rovesciati per motivi funzionali e
in questa maniera, chi doveva difendere la Torre, era più facilitato nel difendersi e nel tirare con archi e balestre.
Nell’angolo sud della Torre si può vedere un accesso che immette al vano scala: ma è “un falsaccio” perché nelle torri medievali si accedeva solo dal primo piano in quanto al pianoterra c’erano il magazzino e lì accanto, nel vano scala, la cisterna dell’acqua.
Il vano scala è l’elemento più importante della fortezza dato che ha fatto da contrafforte e poi, salendo, era a zigzag. Questo sistema non è mai stato riscontrato nelle vestigia del medioevo in Italia, è la Francia il luogo più vicino in cui si può trovare.
La scala quindi portava al primo piano (zona di rappresentanza del signore del luogo) mentre al secondo piano c’erano le camere da letto della famiglia padronale e sopra gli alloggi di servitù e milizia.