di Patrizia Caiffa – Entrare in un luogo magico, esoterico, immaginifico e fuori dal tempo come “La Scarzuola” è come fare un viaggio in una dimensione non ordinaria. Non è solo l’architettura e la natura a stupire chi entra nella “città ideale” fatta costruire dall’architetto Tomaso Buzzi in un ex convento dei francescani in località Montegiove, comune di Montegabbione, nel verde dirompente della campagna umbra.

Ci si arriva passando attraverso strade e stradine nel nulla, ogni tanto compare qualche casa isolata. Da queste parti regnano solo gli alberi e gli animali del bosco e del cielo. Una sensazione simile a quella descritta dai viaggiatori cinematografici Roberto Benigni e Massimo Troisi in “Non ci resta che piangere” quando si ritrovano improvvisamente, e loro malgrado, nel 1492.
A La Scarzuola l’epoca storica invece è indefinita.
Si paga un biglietto (10 euro, prenotando prima la visita) e oltre il sobrio portone ad attendere il gruppo c’è l’attuale proprietario Marco Solari, nipote di Tomaso Buzzi, che ha ereditato la Scarzuola alla morte dello zio e si è trasferito qui da Milano negli anni Ottanta.

Un’eredità imponente e importante, di cui Solari si è fatto anfitrione, aprendo le porte ai visitatori nel Duemila e iniziando a condividere un tesoro sconosciuto ai più, perfino agli abitanti della zona.
È curioso come, nelle recensioni del pubblico sui vari siti dedicati, spicchi più l’originalità e l’eclettismo del proprietario piuttosto che la grandezza dell’opera.
Solari si diverte molto a provocare turisti di ogni genere e provenienza, che ascoltano allibiti e a bocca aperta le sue spiegazioni condite di garbati turpiloqui, dopo i quali scoppia in grasse risate. Eppure il suo narrare è colto e profondo, irraggiungibile ai più per i significati zeppi di riferimenti esoterici, artistici e spirituali.
“Solo il folle riesce ad avere il libero arbitrio, perché gestisce autenticamente se stesso”.
Non è un caso se ha scelto questo motto per il sito ufficiale de La Scarzuola.

Solari ama ripetere che bisogna entrare nell’opera “con occhi innocenti”. E’ una sorta di percorso iniziatico da cui uscire avendo prima affrontato le proprie ombre.
Tomazo Buzzi era un architetto molto noto e mondano, ricercato dalla nobiltà e dall’alta borghesia italiana. Sua è la ristrutturazione di Villa Casati Stampa di Arcore, nota alle cronache politiche per il suo attuale proprietario.
Nel 1956 acquista dai Frati minori il convento francescano fondato da San Francesco di Assisi nel 1218: “non lo voleva comprare nessuno perché è pieno di morti” ironizza l’attuale proprietario.
Il nome deriva dalla Scarza, una pianta palustre che il santo utilizzò per costruirsi una capanna. Si dice che Francesco piantò alloro e rose e lì fece scaturire una fonte d’acqua.

Si dice anche – però sommessamente e sottovoce – che colui che venne definito “il folle di Dio” fu visto levitare alcuni metri da terra proprio qui, nell’antica cappella duecentesca preclusa alle visite.
Buzzi inizia a creare, costruire, mischia stili diversi, dal neomanierismo al surrealismo al ruinismo, utilizzando il tufo come i bambini che giocano con i Lego.

“Alla Scarzuola – diceva l’architetto -, quando qualcuno mi osserva che la parte nuova, creata da me, non è francescana, io rispondo: naturalmente, perché rappresenta il mondo in generale e in particolare il mio mondo – quello in cui ho avuto la sorte di vivere e lavorare – dell’arte, della cultura, della mondanità, dell’eleganza, dei piaceri (anche dei vizi, della ricchezza, e dei poteri ecc.) in cui però ho fatto posto per le oasi di raccoglimento, di studio, di lavoro, di musica e di silenzio, di grandezze e miseria, di vita sociale e di vita eremitica, di contemplazione in solitudine, regno della fantasia, delle favole, dei miti, echi e riflessi fuori dal tempo e dallo spazio perché ognuno ci può trovare echi di molto passato e note dell’avvenire…”
Buzzi si ritira alla Scarzuola per fare un viaggio interiore. C’è perfino una zona con sette porte non accessibile al pubblico. Questo posto è per lui uno “sfiatatoio personale,
un’opera d’arte che non doveva vedere nessuno”.
Alla sua morte, nel 1981, diventa monumento nazionale. Il nipote ci va a vivere e continua a portare avanti il progetto, mai concluso, come la Sagrada familia di Gaudì a Barcellona.
Dopo quarant’anni La Scarzuola è completamente diversa”, spiega Solari, mostrando il disegno di un serpente che il prossimo anno vuole costruire nel retro.

“In questi luoghi – prosegue – la visione è notturna come a Bomarzo o Disneyland. Perché l’artista vede sempre oltre”.
Appena si gira l’angolo la vista si apre infatti alla meraviglia.
Un anfiteatro, un galeone, labirinti, mostri, occhi di Buddha, una Piramide, il Colosseo, il Tempio di Vesta, il Partenone, il Pantheon, la Torre dei Venti, scale che salgono e scendono, tette e vagina gigante della Dea madre, simboli, archetipi e false architetture.
Lo sguardo si perde estasiato a cercare riferimenti conosciuti ma in realtà riesce a definire poco o niente con la mente.
E’ la bellezza dell’arte pura ad arrivare dritta al cuore, in un’opera architettonica unica nel suo genere, circondata da alti cipressi e allori, nella rilassante campagna umbra.

Da tre mesi – più o meno in coincidenza dell’inizio del lockdown – guarda caso si è rotto l’orologio della omonima Torre di Mantova (la copia), fa notare Solari. Lui ha chiaro in testa come la pandemia potrebbe essere solo l’inizio di un cambiamento molto più profondo, dai lati oscuri imprevedibili: “Buzzi diceva che in futuro gli umani saranno privati della memoria”.
C’è perfino un albero secco, folgorato nel 1970, che continua a svolgere la sua funzione di meridiana solare.
Il proprietario guida il popolo del sabato spiegando e ridacchiando tra una scultura e l’altra, una siepe di bosso e un lago con ninfee.
Ad un certo punto annuncia con sconfinata onestà di essersi “prostituito”, perché ha accettato tanti soldi per mettere a disposizione La Scarzuola ad un miliardario, come location per la pubblicità di un profumo.
Del resto – non smette di ricordarcelo – tutti dobbiamo passare per le nostre ombre, prima di sapere veramente chi siamo.
“Qui alla Scarzuola bisogna essere nudi”, ripeteva il suo creatore. Secondo il suo intento l’incontro con le figure che popolano la città simboleggiano i diversi aspetti della psiche. Perciò chi si lascia andare compie un viaggio profondo nell’inconscio, per arrivare ad una piena consapevolezza di sé.
“La Scarzuola è come una medicina: può avere effetti collaterali anche gravi”,
si legge sul sito.
Per alcuni gli effetti collaterali, a fine visita, si riducono ad una recensione sdegnata su Trip Advisor, perché le parole di Solari sono state scomode e hanno disturbato le orecchie dei bambini.
Per la maggioranza rimane il ricordo della straordinaria bellezza del luogo.

Per chi scrive – ho avuto il privilegio inaspettato di entrare nella cappella di San Francesco, nascosta a sinistra dell’altare centrale della chiesa – è arrivato, con assoluto stupore, un attimo di commozione e bellezza di una levità indescrivibile. Senza sapere prima cosa fosse accaduto in quel luogo.
Per concludere ancora meglio la giornata merita percorrere una mezz’ora in più di strada per un ottimo assaggio della cucina umbra e una fresca e rigenerante passeggiata tra boschi e pinete: da Peppa e Angelino al Monte Peglia (Patrimonio Unesco per la biodiversità) e/o Hosteria Villalba nel parco di Villalba. Entrambi hanno anche alloggi a disposizione.