di Patrizia Caiffa – E’ un gioiello inaspettato tutto da scoprire: il Teatro della Concordia, nel delizioso borgo medievale di Monte Castello di Vibio, in provincia di Perugia, è considerato il teatro all’italiana più piccolo del mondo, anche se si contende il primato con il teatro di Vetriano a Lucca. L’architettura all’italiana è tipica per forma, struttura e acustica.
E’ sempre una emozione, per gli amanti del teatro e delle cose belle, entrare in un luogo di arte e cultura che trasmette immediatamente le atmosfere e gli echi del passato, nonostante incomba il peso soffocante delle restrizioni imposte al mondo dello spettacolo dalla pandemia.

Per rendere più suggestivo l’incontro, l’associazione che gestisce il Teatro della Concordia introduce la visita con il sottofondo di un brano di musica di classica. L’effetto acustico è sorprendente, ed è creato dal soffitto cosiddetto a “camorcanna”, che crea una cassa armonica naturale creando un vuoto tra le canne e il tetto.
La storia del teatro è fatta di ascese e cadute rovinose: è una sala privata fatta costruire nel 1808 da nove famiglie nobili di Monte Castello di Vibio, nel periodo di massimo benessere dell’allora vasto territorio, che arrivava fino a Orvieto.
Infatti ci sono 9 ordini di palco e 99 posti complessivi, tutto realizzato in legno. I dipinti iniziali furono fatti intorno al 1850 da un pittore perugino che passava da quelle parti, Cesare Agretti, che si prestò all’abbellimento dell’opera “senza nulla volere”. Agretti dipinse il fondale storico, che prima era un sipario: rappresenta Montecastello di Vibio all’interno del profilo dell’Umbria, costituito dalle fronde degli alberi.

Significativo è un ramo spezzato nel dipinto, che evoca la storia d’amore infelice di Agretti per Giulia, una abitante del borgo che morì poco dopo. Il pittore decise di abbandonare la sua arte e si ritirò a vita privata a La Spezia.
Le famiglie cercarono di farlo tornare per concludere l’opera, ma lui mandò il figlio quindicenne Luigi, che inaspettatamente si rivelò artista migliore del padre. Luigi Agretti completò le pitture nei palchi di proscenio e il bel soffitto del teatro.

L’orologio dipinto sopra il palco segna sempre le 8.30, orario d’inizio degli spettacoli e delle danze, perché il teatro veniva utilizzato anche come sala da ballo. Sui palchi spiccano i cognomi dei drammaturghi più in auge all’epoca.
Come spesso accade nel passaggio tra generazioni, a inizio ‘900, quando il teatro passò agli eredi, iniziò anche ad andare in malora. Passarono due guerre mondiali, rimase solo un custode che apriva il teatro due o tre volte l’anno alla popolazione di Monte Castello, su invito.

Nel 1951 il Teatro della Concordia venne chiuso per motivi di sicurezza e rimase abbandonato e in disuso per quarant’anni. Al posto degli antichi fasti solo macerie e ruberie, con gravi danni al soffitto e al palco.
Rimase così finché la Regione Umbria non riuscì ad ottenere i fondi per restaurare diciotto teatri pubblici. Gli eredi firmarono l’esproprio e nel 1981 diventò proprietà del comune di Monte Castello di Vibio. Sei anni di lavori e un milione e mezzo di lire permisero di riaprire i battenti nel 1993, affidandone la gestione ad un comitato cittadino che poi divenne associazione.
Da 25 anni va avanti solo grazie al volontariato e all’amore per l’arte e la cultura dei paesani ma non è semplice rendere l’impresa sostenibile. In tempi normali si svolgeva una stagione teatrale con una decina di spettacoli l’anno e veniva affittato per eventi, meeting, matrimoni civili.
Con la pandemia tutto è bloccato, perché le regole di distanziamento consentono di far sedere in platea solo 9 spettatori e sui palchi solo 8 persone, per via dei corridoi stretti.
Sarebbe forse il caso, per salvare il mondo dello spettacolo oramai in ginocchio, di ricordare, e attualizzare al tempi che stiamo vivendo, la frase ritrovata in un antico scritto dei proprietari del teatro?
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