Per comprendere il delicato e importantissimo momento storico che la Birmania sta vivendo, b-hop ha intervistato Cecilia Brighi*, segretario generale dell’associazione Italia-Birmania Insieme e autrice del libro “Il Pavone e i Generali, Birmania storie da un paese in gabbia” (Baldini e Castoldi, 2006). In questi giorni in Birmania per seguire le elezioni, ci racconta l’euforia seguita alla vittoria del partito d’opposizione Nld (Lega nazionale per la democrazia) della leader e Premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, contro un regime militare al potere da decenni.

Puoi descriverci il sentimento delle persone in questi giorni storici di ritorno al voto? Che atmosfera si respira?
Sono arrivata in Birmania alcuni giorni prima delle elezioni e ho trovato un clima elettrico, di attesa e di gioia. Come se si stesse preparando un grande avvenimento, un matrimonio. La gente sapeva che sarebbe stata una vittoria. Ho visto funzionari pubblici, ex militari, tassisti, gente semplice che mi diceva che avrebbe votato Nld (la Lega Nazionale per la Democrazia). E così è stato. Tutti mostravano il dito macchiato di inchiostro, segno dell’avvenuta votazione. E la domenica pomeriggio le strade intorno alla sede dell’Nld si sono cominciate a riempire di persone, di macchine stracolme di gente, di furgoni carichi di famiglie e bambini. Tutti si dirigevano verso la sede del partito sperando di vedere Aung San Suu Kyi. Così anche oggi. Nonostante il temporale violento scoppiato all’improvviso nel pomeriggio, migliaia di persone sono rimaste davanti alla palazzina dell’NLD. Moltissimi erano i giovani, tutti con la famosa maglietta rossa con il pavone e la stella. Fascia rossa sulla fronte e adesivi con il simbolo dell’NLD sul viso. Incredibile gioia collettiva. Un servizio d’ordine fatto da giovani gentilissimi ma fermi nel tentare di dare una impossibile organizzazione al tutto.

La Lega nazionale per la democrazia di Aung San Suu Kyi sembra aver ottenuto la maggioranza. Cosa succederà ora?
Ancora adesso non si conoscono i dati definitivi e credo ci vorrà ancora molto prima che vengano pubblicati, ma una cosa è sicura: l’NLD ha stravinto le elezioni. Il popolo birmano ha vinto e ha scelto il cambiamento. Ora dovrà essere la Lady – Aung San Suu Kyi – e il suo partito a cercare di guidare il Paese fuori da cinquanta anni di rovine, di corruzione e di povertà. Una impresa difficile non solo perché c’è bisogno di cambiare la cultura, di promuovere una lotta senza quartiere alla corruzione, per la costruzione dello stato di diritto, ma anche perché ci vorranno ancora molte lune prima che i militari cedano il loro potere. Infatti non solo il 25 per cento dei seggi parlamentari sono assegnati a loro senza alcuna votazione; ma le forze armate detengono le chiavi del potere politico, giudiziario ed economico. A loro la costituzione affida la nomina dei ministri degli interni (che nominano i primi ministri dei singoli Stati e Regioni), della difesa e degli affari di confine (la gestione del rapporto con gli Stati etnici) ma anche perché molte delle imprese più redditizie sono nelle loro mani (gas, petrolio, miniere ecc). Senza contare poi il ruolo del Consiglio Nazionale per la Sicurezza, organismo autorizzato a sospendere la vita democratica in caso vi sia una minaccia alla stabilità del Paese. Quindi il nuovo governo dovrà tessere una difficile e complessa tela di rapporti per evitare che ci possano essere colpi di coda e anche per far si che nel tempo i militari cedano il potere politico e sottostiano alle direttive di un governo civile e non il contrario. Ma la volontà di cambiamento è troppo diffusa perché si possa tornare indietro.
Che Paese è oggi la Birmania?
La Birmania oggi è un Paese ricco di risorse e povero economicamente. Un Paese pieno di giovani assetati di futuro ma anche privi di una adeguata formazione che possa permettere loro un lavoro dignitoso. Un gran numero sono giovani donne. E poi ci sono problemi spinosi come il conflitto armato presente in alcuni Stati. Ancora oggi in alcune aree del Paese si continua a sparare. Nello Stato Kachin ancora oggi molti villaggi vengono abbandonati e migliaia sono i rifugiati, senza cibo e assistenza. Il fatto positivo è che in Sette stati si è firmato un accordo di cessate il fuoco, che consentirà l’apertura di un dialogo politico. Ancora oggi rimane irrisolto nello Stato Rakine lo scontro tra i mussulmani Rohingya e i buddhisti, che ha prodotto la morte di centinaia di persone e lo sfollamento forzato di oltre centomila in campi per rifugiati con scarsa assistenza e con molte limitazioni. Recentemente i Rohingya presenti nel Paese si sono visti ritirare la carta di identità temporanea e gli è stato tolto il diritto di voto. Il problema etnico è un problema storico di complessa soluzione, se non si lavorerà per l’autonomia dei singoli Stati e una equa ripartizione dei proventi derivanti dalle risorse naturali, sino ad oggi finiti nelle tasche dei militari.
Cosa speri che accada nel prossimo periodo?
E’ un Paese in cui bisogna costruire le basi per lo Stato di diritto, l’eliminazione della corruzione, la lotta alla povertà e l’inclusione sociale. Tutti questi problemi impongono una scelta accurata della squadra di governo e della strategia per evitare che le aspettative del popolo si infilino nelle difficili sabbie mobili di questa nuova situazione.
L’associazione “Italia- Birmania Insieme” è impegnata nel Paese, da anni, nella protezione e promozione dei diritti umani, nella lotta alla povertà. Alla luce di queste elezioni in qualche modo cambia la vostra attività?
“Italia-Birmania Insieme”, nel suo piccolo, ha intessuto rapporti robusti con molti soggetti del Paese. Sta collaborando con loro sui temi dell’inclusione sociale, della formazione professionale e degli scambi come abbiamo fatto durante Expo con una missione di contadini birmani che sperimentano l’agricoltura organica e il sostegno giuridico contro la confisca delle terre, o con incontri tra architetti e ingegneri sui temi della conservazione delle risorse culturali e ambientali del Paese. Una grande attenzione è sempre rivolta ai problemi che vivono le donne nel mondo del lavoro. Stiamo per iniziare un importante progetto nello Stato Karen per la formazione della pubblica amministrazione alla governance e al dialogo sociale e la formazione delle imprese alle relazioni industriali e la formazione professionale al fashion design di 90 giovani donne, con l’obiettivo di formare cooperative per produzioni di prodotti di qualità per i turisti. Insomma il voto cambia la prospettiva e consentirà di lavorare con maggiore tranquillità, ma le sfide che il Paese deve affrontare non si risolveranno facilmente senza l’impegno di tutti. Si stanno liberando enormi risorse umane, grandi energie e bisognerà accompagnare questa fase con grande attenzione e sostegno da parte di tutti, a partire dal nostro governo. Il voto di per sé non risolve i problemi che si sono accumulati in 50 anni di dura dittatura, ma facilita enormemente la loro soluzione.

* Profonda conoscitrice del Paese, Cecilia Brighi comincia ad occuparsi di Birmania nel 1996, quando il Sindacato Internazionale dei lavoratori presenta all’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) la prima denuncia sui numerosi casi di lavoro forzato che la giunta militare utilizzava nel Paese per supplire alla carenza di risorse per la costruzione di postazioni militari, per il trasporto di armi e munizioni e per lo sminamento delle strade. Un lavoro di ricerca durato anni. Nel 2000 l’ILO approva una risoluzione che chiedeva ai governi, alle imprese e alle istituzioni internazionali di interrompere i rapporti commerciali, economici e di cooperazione con la Birmania sino a quando non si fosse interrotta la violazione dei diritti fondamentali, proprio a partire dal lavoro forzato. Fino al 2012 Brighi ha contribuito al lavoro di raccolta delle informazioni sul lavoro forzato e sul reclutamento forzato di minori nell’esercito e su altre violazioni: come la confisca delle terre, stupri, arresti arbitrari. Queste denunce hanno contributo alla decisione di imporre le sanzioni sia da parte dell’Unione europea che degli Stati Uniti. Poi, dopo la repressione della “rivoluzione zafferano”, ha monitorato il comportamento delle imprese europee, molte delle quali hanno continuato a fare affari con la giunta militare.