di Patrizia Caiffa – E’ possibile comunicare con i defunti? Possono le persone care che abbiamo amato e non sono più su questa terra mettersi in contatto con noi, spontaneamente? E’ possibile che ci appaiano in sogno, o in una forma visiva, tattile, uditiva o olfattiva, per avvertirci di un pericolo imminente? O in punto di morte?
Sono tutte domande che prima o poi nella vita, indipendentemente dal fatto che si creda o meno in una religione o si pratichi qualche forma di spiritualità, chiunque di noi può farsi. Specialmente quando ci si trova nel dolore della perdita di una persona cara.
Affrontando a testa alta l’incredulità degli scettici o degli agnostici, ora anche la scienza, il mondo accademico, sta indagando un pò in sordina il fenomeno dei cosiddetti “Vissuti soggettivi di contatto con i defunti”, per il quale si usa in italiano l’acronimo Vscd e a livello internazionale After death contacts (Adc in inglese).
Evelyn Elsaesser
E’ la studiosa svizzera Evelyn Elsaesser, autrice di diversi libri in materia, la leader del progetto internazionale che si concluderà nel 2020, finanziato e portato avanti dalle università di Northampton (Gran Bretagna), Buenos Aires (Argentina) e Virginia (Stati Uniti), con l’obiettivo di comprendere e indagare la fenomenologia e l’impatto di queste esperienze in cui i defunti entrano direttamente in contatto con i vivi, senza l’intercessione di medium.
Elsaesser studia da vent’anni le Adc e le Nde (Near death esperience), ossia i fenomeni della pre-morte (quando le persone in coma vivono esperienze che identificano con l’aldilà).
Nei giorni scorsi era a Roma, ospite d’onore al convegno “I defunti nella nostra vita. Diversi approcci e nuove ipotesi”, organizzato dall’associazione Viriditas.

Una domanda centrale è: “Sono le Adc un fenomeno generato dal lutto e dal dolore o sono contatti autentici iniziati dal defunto?”
“Noi non vogliamo provare l’autenticità di una questione che può rimanere senza risposta ma riconoscere che esistono – ha precisato Elsaesser -. Anche perché non sono auto-generate solo dal dolore e dalla perdita ma si manifestano anche a persone non a lutto”.
“Voglio che si crei un linguaggio condiviso e comune che permetta di parlarne e aiutare le persone a capire bene cosa sta succedendo”.
Un dato molto significativo è emerso dalla ricerca: “essere credenti, agnostici o atei non fa differenza; né l’età, il genere, la nazionalità o la religione. L’amore che lega è l’elemento importante”.
Finora sono stati somministrati questionari on line con 193 domande a 1005 persone (416 in inglese, 440 in francese e 149 in spagnolo), su persone che hanno vissuto una Adc nell’arco di 7 giorni prima o dopo la morte del proprio caro.
Il 91% del campione non ha avuto dubbi sull’identità del defunto, che si è manifestato attraverso quattro dei cinque sensi: un messaggio uditivo o telepatico; sensazione tattile, di essere toccati o accarezzati; esperienze olfattive (esempio, il profumo della persona amata) o visive, spesso indossando i loro abiti preferiti, più giovani, sereni e in salute.
“Le persone avvertono una sensazione di presenza. E anche se non lo vedono sanno dov’è il proprio caro, sanno quando arriva e quando se ne va. E’ molto diverso dal ricordo”.
Hanno risposto soprattutto donne (88%), riferendo in maggioranza episodi rispetto a congiunti maschi (nel 66% dei casi). Il 63% dei casi aveva un legame d’amore molto forte con il defunto.

Elsaesser ha fatto notare alcuni aspetti interessanti: il 13% erano suicidi, il 25% morti violente e inaspettate, “come se non avessero avuto il tempo di prepararsi e se sentissero il bisogno di dire qualcosa o confortare il congiunto”.
Nel 38% dei casi sono stati ricevuti messaggi rassicuranti, nel 13% il defunto ha chiesto aiuto o preghiere perché non condizione serena, il 12% messaggi d’amore, il 12% di saluto/congedo, solo l’1% di perdono.
Interessante è l’impatto sulla persona che riceve l’Adc: “Rimane la convinzione che sia stata una esperienza reale, anche se la persona non crede nella vita dopo la morte”.
Nonostante ci sia una generale difficoltà a riferire questi episodi per la paura di essere ridicolizzati o non creduti, resta “una sensazione di gioia e consapevolezza che il proprio caro continui la propria esperienza altrove”.
Ma attenzione: “Nonostante la gioia e la sorpresa – ha avvertito la studiosa –
il processo doloroso del lutto è inevitabile. La tristezza si allevia ma non viene eliminata. Bisogna accettare l’irreversibilità della perdita. Le Adc facilitano solo il legame interiore e profondo con il defunto”.
Al convegno si è parlato anche di come la psicoterapia può aiutare l’elaborazione del lutto in persone colpite da perdite molto gravi attraverso la Iadc Therapy (Induce after death communication), “efficace su tre pazienti su quattro”, come spiegato dallo psicologo Claudio Lalla.
Si tratta di due sedute di due ore, durante le quali “il paziente parla del proprio caro, della sua relazione e delle circostanze della morte. Poi attraverso tecniche di stimolazione bilaterali del cervello sinistro e destro, visive e tattili, le persone entrano in uno stato mentale ricettivo al contatto con i defunti”.

L’altro canale di accesso sono i sogni, una materia indagata in profondità, anche nelle sue componenti dimostrate dalla fisica quantistica, dalla ricercatrice e studiosa Marie Noelle Urech:
“Perché noi siamo energia ed esiste una dimensione in cui ci comportiamo come le onde. Quando meditiamo, quando sogniamo e quando amiamo. E mai la morte ha separato chi si ama”.
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