di Massimo Lavena – Sara Mucaria è la curatrice del volume “Raccontando Nuragus“, per i tipi della Editoriale Documenta.
“Raccontando Nuragus” fa parte di una collana intitolata “Raccontando – collana di memorialistica storica”, che attraverso narrazioni orali, ricordi, testimonianze ha, sino ad oggi, tracciato i profili di vita e cultura di 48 tra borghi, paesi e cittadine della Sardegna.
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“Si tratta di racconti come immagini, ricordi come ritratti, storie come schegge di vita di un tempo perduto che rivive nelle testimonianze documentali, ora intense e vibranti, ora flebili e periture, degli abitanti di Nuragus,
protagonisti di un’antologia di pensieri sulla storia sociale ed economica del paese nel Novecento“, è sintetizzato nella quarta di copertina.
Sara non è nativa di Nuragus, piccolo centro a 75 chilometri a nord di Cagliari, in quella zona della Sardegna denominata Marmilla, vocata alla produzione di vini antichi e di grano: situato alle pendici dell’altopiano della Giara, dove galoppano i famosi cavallini selvatici, tra nuraghes e tombe dei giganti.
Nuragus diede i natali alla mamma di Sara, e lei ci vive da circa vent’anni. Oggi ha la sua famiglia, e vive la dimensione del piccolo borgo, coi suoi ritmi diversi dalla città, coi silenzi e gli sguardi, con le povertà e le condivisioni retaggio di tempi in cui tutti aiutavano tutti.
Ma ciò che Sara ha trasferito nel volume non è solo la memoria dei tempi passati che disegna anche l’evoluzione economica e sociale: le testimonianze portano alla creazione di un commovente viaggio nella Storia, quella minima e fondamentale di una comunità che è cresciuta attraverso la povertà, la fame, l’emigrazione obbligata dei giovani in cerca di lavoro, le guerre, i padronati e i padrinati, con la religiosità intensa che scivola spesso nella magia, e la disponibilità a togliersi il pane di bocca per aiutare il vicino che ha perso tutto per un incendio o un lutto.
“Mi sono ritrovata a condividere con i miei compaesani le memorie di un tempo passato dal punto di vista cronologico ma ancora vivo e presente nei cuori e nei sentimenti più intimi dei narratori
– scrive Sara nell’introduzione -. Testimonianze arricchenti e coinvolgenti, espressione di una Nuragus fatta di gente laboriosa e semplice”.
Sara ha riunito storie che “ci calano in un tempo in cui non esistevano le comodità e la tecnologia di oggi, in cui regnava un forte senso di appartenenza alla famiglia e al territorio, e in cui vigeva un forte senso di solidarietà verso il prossimo”.
Sono storie di donne e uomini, anziani e di mezza età, con una certa cultura o quasi analfabeti, emigrati rientrati e figli di altri paesi accolti da Nuragus, persone che hanno conosciuto la guerra, che sono andati in fabbrica al nord, donne che da bambine hanno fatto le servette nelle famiglie benestanti del circondario o andate a servizio nelle ricche famiglie cagliaritane o di Milano.

Parlando delle sue interviste per il libro, Sara evidenzia che “questa è una collana che fa memoria del passato, ciò che mi colpisce sempre è la situazione e l’atmosfera che si creavano, che erano sincere e trasparenti, tra le persone, nelle occasioni che le vedevano stare insieme: quindi le feste, o semplicemente l’uccisione del maiale, fare il pane, tutti eventi quotidiani necessari, perché servivano per portare avanti la vita quotidiana.
Nel dettaglio erano le necessità essenziali come il mangiare a radunare le persone per l’aiuto e tutto ciò che rappresentava la convivialità. Di sicuro io ho avuto un percorso che non mi ha fatto crescere l’infanzia a Nuragus, sono stata una nomade per tanto tempo e poi sono effettivamente tornata nel paese di mia madre, non ci ho mai vissuto da piccola, sono arrivata a Nuragus all’età di 28 anni, con già un figlio, e poi ci sono rimasta e sono ormai quasi venti anni. Ma venendo qui durante l’estate o nei weekend, perché comunque abitavo in un paese vicino, ho vissuto questa aria, e ho percepito, dai racconti delle persone che ho intervistato, l’unione nel condividere situazioni fondamentali per la vita di ognuno, che diventavano momento di convivialità e aiuto reciproco:
‘non c’era niente ma non si aveva bisogno di niente’ è la frase che mi sono sentita dire praticamente da tutte le persone che ho intervistato.
Se dovessi fare un paragone con la mia generazione, noi siamo perennemente ansiosi di non avere abbastanza, di non essere abbastanza, di non dimostrare abbastanza. Quindi la cosa che penso ci manchi è proprio la condivisione gratuita”.

Bisogna però chiedersi cosa sia rimasto oggi di quella Nuragus che esce dalle pagine del libro: “Oggi Nuragus, per come la vivo e vedo io – dice Sara –, non è più quella di 40 o 50 anni fa. Le famiglie sono prese dal tran tran quotidiano che ci fa allontanare da chi ci è vicino. Ognuno è preso dal rincorrere il suo orologio, i suoi pensieri, le sue occupazioni. Se poi certe dinamiche che tengono le persone unite, come le associazioni, i gruppi di ritrovo, tutto ciò che avvicina le persone, nella loro diversità, rendendole partecipi di un progetto comune, si esauriscono. Mancando questo, manca moltissimo di ciò che un tempo si viveva.
Nuragus si è però sempre distinta, rispetto ad altre località, per il grande spirito di aiuto reciproco. Associazioni di volontariato, di ricerca, di interventi sociali e di emergenza in occasione di disastri naturali in Sardegna e in altre regioni, sono sempre state presenti a Nuragus. Anche se io sono un po’ rassegnata davanti alla attuale crisi di queste associazioni che hanno sempre attratto persone diverse, senza legami condivisi, nel momento in cui si creava un obbiettivo da portare avanti insieme Nuragus ha sempre risposto molto bene.
Penso che si debba riscoprire il rispetto per le idee diverse.
Manca oggi il rispetto reciproco. Si arriva ad un vortice nel quale prevale la mancanza di rispetto, e crea disagio e disaffezione al paese. Manca ormai la capacità di ascolto, anche nella gestione del paese“.
Per Sara un aspetto è centrale nella storia di Nuragus: “La semplicità: Nuragus e le sue persone, quelle che vivono ed hanno vissuto il paese, sono sempre riuscite a essere se stesse. Non c’è mai stato il bisogno di dimostrare niente a nessuno. La condivisione ha caratterizzato Nuragus. Oggi la semplicità nuraghese fatica a venire fuori. Ci sono dei condizionamenti, non si sta sta più a proprio agio e ci si chiude. e mi dispiace”.

Eppure, ribadisce Sara “oggi Nuragus, in particolar modo per quegli abitanti che son stati costretti ad andar via, rappresenta tantissimo: permane un senso di appartenenza molto forte, proprio una necessità di voler tornare, di riuscire a stare per un periodo nel corso dell’anno, anche semplicemente per una passeggiata, per salutare i parenti.
Lo sappiamo, Nuragus offre poco, ma quel poco basta dal momento che hai una qualità di vita elevata a livello di ritmo, cibo, aria.
Certo non offre lavoro, o quello che offre non è ambìto, ma Nuragus per i suoi abitanti è un pezzo di cuore.
Questo libro mi ha fatto conoscere tante persone che non vivono più a Nuragus e che lo hanno richiesto, anche giovani, che vogliono condividere con i loro figli questi racconti, questi ricordi e farne tesoro: è memoria storica. E per quanto mi riguarda è un regalo grande quello di poter lasciare il mio nome, Sara Mucaria, perché dopo di me nessuno avrà più il mio cognome, che sopravvivrà con i libri. Ci tengo molto, mi spaventa l’idea di non esserci più, quando sarà, ma questo, alla fine, è un modo per rimanere”.