di Margherita Vetrano – La 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma è stata inaugurata ieri, 18 ottobre 2023, con il film “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi.
La proiezione stampa del mattino ha calamitato l’attenzione degli spettatori della Sala Petrassi dell’Auditorium, Parco della Musica Ennio Morricone per 118 minuti.
L’opera prima di Paola Cortellesi, attrice e regista romana, ha riscosso un buon successo di pubblico che ha applaudito a lungo al termine della proiezione.
La storia di Delia, che sbarca il lunario nella Roma del dopoguerra, fa presa sin dai primi fotogrammi perché racconta una fetta di storia italiana cruciale.
E’ la vigilia del 2 giugno 1946 e le donne sono chiamate alle urne per la prima volta.
Qualcosa sta per cambiare nella vita di tutte loro, così come nel Paese.
I vecchi schemi, i vecchi modelli sono al capolinea e la nuova Italia che nasce si affaccia nei primi fotogrammi, nella lunga carrellata di personaggi che fa ala al passaggio di Delia.
Il cambiamento è nell’aria, nei cortili come nei salotti dei signori ma non per lei.
Madre di tre figli, si occupa della casa e della famiglia.
Il marito, Ivano, violento ed egoista la tratta come un oggetto.
La figlia, Marcella, vive la sua condizione femminile implorando una riscossa della madre che non arriva.
Delia prosegue il suo percorso a testa bassa, incassando botte ed umiliazioni fino al giorno in cui,
l’istinto materno innescherà in lei una scintilla.
Lo sguardo di Paola Cortellesi è principe e ruba la scena agli altri personaggi.

Gli occhi neri, fermi, commentano le sfumature di atmosfera e bloccano lo spettatore dando uno scorcio nuovo alla realtà.
Complice un bianco e nero necessario, il suo sguardo fisico vola oltre lo schermo, in un avvolgente dialogo con la macchina da presa.
La maschera da clown triste, umanissimo, ora impacciato, ora divertito e divertente, accompagna lo spettatore in un’altalena di emozioni.
La profonda prostrazione per la condizione di questa madre non è mai totale ed è proprio nel momento più basso del suo percorso che il tono risale, virando alla commedia.
Solo per pochi istanti, prima di focalizzarsi in un finale pieno di suspense e adrenalina.
“Ho voluto raccontare le donne ordinarie, senza consapevolezza. Volevo raccontare le donne che non vengono ricordate ma hanno ugualmente costruito il Paese”,
ha raccontato Paola Cortellesi: “Ignare della forza che avevano, cresciute con l’idea di non contare niente […] Il film è dedicato a mia figlia Laura e alle ragazze della sua generazione”
La regista racconta una donna per parlare di tutte, ieri come oggi.
Il passaggio di testimone tra il vecchio e il nuovo è un pasto di cui cibarsi tutti i giorni.
E’ una rivoluzione lenta, fatta di sguardi di comprensione e silenzi gridati.
E’ un passaggio di consapevolezza che non va esibito ma alimentato ogni giorno perché il cambiamento germogli in ogni singolo individuo.
Tutto sarà possibile; non per amore o per odio ma per autoaffermazione.
Realizzare il proprio essere sarà la roccia più solida dalla quale spiccare il balzo verso la libertà.
Restando, se necessario, ma consapevoli che da quel giorno nulla sarà più come prima.
Paola Cortellesi affida a luci e suoni l’andamento emotivo della narrazione.
Le scene violente sono rappresentate con passi di danza su brani storici di cantautori italiani, sugellate da un taglio sul labbro.
L’alternanza tra le esterne e la casa di Delia illumina il racconto, commentando con luci ed ombre la sua dolorosa vita familiare e quella sociale.
La sceneggiatura scritta dalla regista a sei mani con Giulia Calenda e Furio Andreotti è acuta ed intelligente e ricca di spunti per descrivere una condizione.
Delia non è una vittima.
Tra lei e le altre figure femminili c’è una solidarietà strisciante ed una comprensione infinita. Figure descritte a pennellate limpide, mai gridate.
Donne rivoluzionarie.
Ma sottovoce, nella tenerezza della sigaretta fumata di nascosto a boccate corte. O nella cioccolata condivisa come un lungo, travolgente, bacio mai dato.
A far da contraltare, le figure maschili, a volte infantili, altre violente, sicure di diritti acquisiti per nascita.
“C’è ancora domani” racconta garbatamente la cultura di un Paese che non ha fatto distinzione di ceto sociale per chiudere la bocca alle donne.
Ed è proprio “A bocca chiusa” che la vicenda si conclude, sulle note dell’omonimo brano di Daniele Silvestri.
Ottimi gli interpreti tra cui Emanuela Fanelli e Giorgio Colangeli; imperdibile l’odioso Ivano-Valerio Mastandrea.