di Laura Federici – Ha lasciato la professione di avvocato per dedicarsi completamente alla pittura, alla scrittura, alle traduzioni poetiche. E’ un‘artista versatile Fabiola Bonghi: i suoi quadri, con numerosi soggetti femminili, evocano suggestioni dal mondo celtico, alla continua ricerca della bellezza che si realizza nell’armonia.
Fabiola Bonghi è stata ospite dell’evento “L’arte della bellezza” organizzato a Roma da B-Hop magazine lo scorso 10 giugno, presso i locali di Ultrablu, associazione per artisti neurodivergenti e non.
“Non è facile esprimere a parole ciò che ci muove, quando ci connettiamo alla parte più profonda di noi”, confida Fabiola a B-Hop, raccontando il suo percorso artistico e come, da quanto tempo, ha scoperto questa meravigliosa forma di arte.

“Mi dedico alla pittura e al disegno in maniera professionale da circa dieci anni e ho sempre disegnato e dipinto sin dall’infanzia – dice -. Per me si è sempre trattato di una vocazione”.
“Attualmente – prosegue – mi occupo sia di illustrazione che di pittura e di scrittura. Eh sì, scrivo. Per quanto riguarda le tecniche che uso, si tratta di tempera, acquerello e grafite, in base all’opera che di volta in volta vado a realizzare”.
Il suo percorso professionale è stato variegato:
“Per una decina d’anni ho esercitato la professione di avvocato fin quando ho deciso di sospendere questo lavoro per dedicarmi a tempo pieno all’arte.
In merito al mio percorso di apprendimento artistico, dico che la mia formazione è da autodidatta. Essendo un avvocato, sono stati altri i contesti in cui ho appreso quanto ora pratico. Il mio percorso accademico è stato, appunto, completamente differente. Ho poi deciso di intraprendere in maniera professionale il lavoro di pittura e illustrazione. A seconda dell’argomento, del mezzo che mi interessa, approfondisco la tecnica che ritengo si possa adattare meglio a ciò che voglio dipingere e rappresentare. In questo ultimo anno mi sono dedicata prevalentemente alla tempera e alla grafite”.
Qual è il tuo concetto di bellezza? Che cosa è per te la bellezza?
Questa domanda per me è piuttosto singolare perché il concetto di bellezza è qualcosa a cui penso davvero molto spesso. E’ qualcosa che cerco sempre di inserire nei miei quadri e non tanto per un motivo esteriore o estetico ma proprio perché naturalmente, come espressione della mia vena creativa, mi trovo sempre a cercare di realizzare qualcosa di armonioso.
Per me la bellezza è armonia. Un’armonia, una capacità di rappresentare, una attitudine di rappresentare in modo “armonioso” un disegno, un tratto, un dipinto, a cui però corrisponda un contenuto.
Quindi, il contenuto non deve essere necessariamente didascalico. Non c’è un messaggio che io per forza voglia infondere attraverso i miei quadri.
Quando parlo di “contenuto” mi riferisco piuttosto a quello che voglio esprimere. Non disegno e non dipingo mai semplicemente per creare qualcosa di bello ma cerco di esprimere un qualcosa che può essere una emozione, un sentimento, una idea, una provocazione attraverso una rappresentazione armonica nelle sue parti e, quindi, per me la bellezza diventa un modo di comunicare ed è un mezzo per esprimere un sentimento e una emozione.
Come nasce il tuo processo creativo? Nella tua arte si respira un mondo nordico che sembra così lontano ma che tu mostri così vicino e tanto familiare.
Sì. Hai ragione. Sicuramente la maggior parte delle mie opere si ispira a suggestioni nordiche o nord europee e, soprattutto, le mie opere sono per lo più legate a un immaginario celtico che trova nell’elaborazione dei motivi ornamentali antichi una sua cifra stilistica particolare. Ecco, diciamo che questo interesse è sempre coniugato nelle mie opere ad un dipinto o ad un disegno che poi è essenzialmente realistico, quindi, questi elementi in linea di massima ci sono entrambi, con poche eccezioni.
Come nasce?
Nasce dalla mia adolescenza quando mi trovai, per motivi di studio, a fare frequenti viaggi all’estero, nel Regno Unito o in Irlanda. Fui sempre molto colpita da quegli stili, da quelle elaborazioni grafiche bellissime che possiamo trovare anche nei manoscritti medievali antichi di origine nord europea. Due tra tutti, il Book of Kells e il Book of Darrow. Ci sono davvero centinaia di testi miniati in modo meraviglioso che fanno di questo stile di nodi e volute la loro caratteristica.
Quando durante l’adolescenza venni a contatto con questo tipo di arte rimasi davvero affascinata da un bellissimo intreccio di viticci, di linee,
che poi ritroviamo anche nella nostra tradizione culturale italiana. Basti guardare Leonardo Da Vinci o già, a Roma, la Piazza del Campidoglio, dove il motivo ornamentale della piazza è da ritrovarsi in radici comuni dell’arte nordica. Mi è sempre piaciuta moltissimo, come anche le leggende, le tradizioni, le favole compreso il patrimonio folkloristico di questi paesi. Dunque tutto si è unito in un unico filone che ho poi re-interpretato a modo mio in lavori dove sono ritratti personaggi o divinità che richiamano quella tradizione.
La tua vita è occupata interamente da questo tuo talento oppure Fabiola Bonghi trova spazio per altro?
In realtà, i miei interessi sono molto variegati perché spesso mi trovo ad iniziare o ad approfondire discipline che sono apparentemente distanti da quella pittorica. Ho sperimentato anche il modellato, quindi un tipo di forma di scultura, se così possiamo definirla. E tante altre cose come la scrittura. Pubblico libri e mi dedico alla traduzione di testi appartenenti a quella tradizione nord europea, ovvero dall’inglese all’italiano. Si tratta di testi classici come “Il Crepuscolo Celtico” di Yeats oppure anche statunitense attraverso una raccolta di poesie che ho tradotto e di cui l’autrice è Emily Dickinson. Ho pubblicato testi illustrandoli con le mie opere. Mi piace occuparmi di questo. Pratico attualmente yoga e lo insegno anche! Pur sembrando qualcosa di distante dalla mia passione, che è la mia arte, tuttavia io ci trovo una sostanziale continuità verso una ricerca del bello e dell’armonia che non diventa soltanto qualcosa di esteriore ma che è, soprattutto, interiore.
Puoi dirci quale messaggio vuoi dare, che cosa vuoi comunicare, attraverso la tua Fine Art?
In verità, non sono sicura di avere un vero e proprio messaggio. Non voglio che quello che produco si possa o meno chiamare arte o che sia troppo asservito per diventare un mezzo di comunicazione per qualcosa. Diciamo che
non è necessariamente prioritario per me il messaggio. Piuttosto sicuramente nelle mie opere c’è sempre un contenuto.
Penso ad esempio all’ultimo lavoro, che non è ancora noto ma che ho creato sulla scia di una breve intervista alla poetessa Alda Merini. Ho deciso di interpretare il suo sentimento nei confronti della gioventù attraverso un’opera che ho realizzato. In questo senso il contenuto non necessariamente si collega alla volontà di voler insegnare, ammaestrare. No. Assolutamente, no. Ciò che cerco di fare attraverso la mia arte è di ricorrere alle mie sensazioni. Mi muove una molla egoista, lo ammetto. Senz’altro, cerco di
offrire conforto esprimendomi visivamente e riportando questa bellezza al contenuto, che può essere anche triste ma sempre in un’ottica di offerta verso qualcosa di positivo, che inviti alla contemplazione
seppure si tratti di un’opera dal contenuto più malinconico rispetto ad un soggetto più gioioso. Ci sono vari soggetti e vari modi in cui posso realizzare qualcosa e, concludendo, posso dire che per me, la pittura, indica ancora che, a volte, neppure noi sappiamo perché facciamo quel che facciamo, perché lo cerchiamo. Forse, tutto questo avviene per quel benessere che ci porta a stare bene e in pace con noi stessi e a trovare il nostro posto nel mondo.
* Fabiola Bonghi è autrice di un coloratissimo sito web che ha creato lei stessa ed è presente con le sue opere su Facebook e Instagram.