di Antonella Liberati – Prendete alcune decine di ragazzi tra i 10 e i 18 anni, cristiani, musulmani e yazidi. Dategli una macchinetta fotografica e chiedetegli di raccontare – attraverso le immagini – come l’Isis ha cambiato le loro vite. È nato così “Still light – i bambini di Enishke”, dalla curiosità di vedere come un gruppo di ragazzini avrebbe raccontato il periodo più difficile dell’Iraq degli ultimi anni. Un progetto ideato e promosso da Tv2000 e finanziato dalla Caritas italiana.
“Enishke è un piccolo villaggio nel Kurdistan iracheno, sulle montagne al confine con la Turchia – racconta Massimiliano Cochi, inviato di Tv2000 – Ci arrivammo per la prima volta nell’agosto del 2014, quando le squadracce del califfo Abu Bakr al Baghdadi avevano appena cominciato la loro avanzata e, dalla città di Mosul, nel nord dell’Iraq, in pochi giorni avevano conquistato decine di villaggi nella piana di Ninive e tutta la zona del Sinjar”.
Centinaia di migliaia di persone erano state costrette a lasciare le proprie case. Gli yazidi, una minoranza religiosa irachena, furono costretti ad una drammatica fuga sulle montagne del Sinjar. Decine di migliaia di persone rimasero per giorni senza acqua, senza cibo. Morirono moltissime persone.
“Ci raccontarono di un uomo che nella fuga aveva preso con sé e salvato 25 bambini, molti dei quali ormai orfani – prosegue Cochi -. Per incontrare quest’uomo, che si chiama Khalaf, arrivammo ad Enishke. Scoprimmo così questo piccolo villaggio dove un’ottantina di famiglie cristiane avevano accolto oltre trecento famiglie: yazidi, cristiane, musulmane, turcmene, shabak. Donne e uomini di tutte le religioni, senza distinzione. E questo ci sembrò un bellissimo segnale di speranza in un Paese in cui le violenze interreligiose – presenti da sempre – con l’avvento dell’Isis erano esplose definitivamente”.
Cosa successe dopo?
“Conoscemmo padre Samir Yusif al Koury, il sacerdote caldeo di Enishke che si diede da fare fin dall’inizio per procurare tutto il necessario agli sfollati. Parliamo di migliaia di persone arrivate solo con i vestiti che avevano addosso, in una zona dove d’inverno c’è un metro di neve e d’estate ci sono 45 gradi. Bisognava trovare cibi, vestiti, stufe; rimettere a posto i ruderi di un vecchio villaggio turistico per dare una sistemazione dignitosa a questa famiglie. Padre Samir – grazie anche agli aiuti arrivati dall’estero – in particolare dall’Italia – riuscì a garantire tutto a tutti“.
Come è nata l’idea di un corso di fotografia?
“Ad Enischke siamo tornati più volte in questi tre anni e mezzo. E abbiamo visto crescere una comunità come non ce n’era in nessun posto dell’Iraq. Cristiani, musulmani, yazidi tutti insieme. Decidemmo che questa bellissima storia di integrazione e convivenza doveva essere raccontata, ma non nel tempo finito di un reportage giornalistico. Volevamo qualcosa che restasse. E volevamo che a raccontarla fossero i protagonisti della storia stessa: i ragazzi. Allora pensammo di organizzare un corso di fotografia. Di dare ai ragazzi – attraverso le foto – lo strumento per raccontare la loro storia. Quelle foto sarebbero diventate una mostra da portare in giro per l’Italia e tutto questo sarebbe inoltre finito in un docu-film trasmesso da Tv2000″.
Quando è iniziato il corso?
“Il 19 settembre assieme all’operatore Lucio Ciavola, al fotografo Stefano dal Pozzolo e all’interprete Pierre Balanian siamo arrivati ad Enishke. Abbiamo radunato i ragazzi. Erano 26. Ragazze e ragazzi. Il più piccolo aveva 10 anni. Il più grande 18. Abbiamo spiegato loro cosa avevamo intenzione di fare. La mattina dopo si sono presentati in 49. E ogni giorno si aggiungeva qualcuno.
Attraverso la fotografia molti di loro hanno raccontato le proprie storie o quelle della propria famiglia. Quando gli abbiamo chiesto di fotografare qualcosa di importante per loro Anwar – che ha 14 anni – ha fotografato un quaderno su cui era scritta solo una data: 10 maggio 2014, il suo ultimo giorno di scuola. Da tre anni Anwar non andava a scuola e questa era la cosa che le mancava di più.
Assia invece ha 17 anni e tre nipoti femmine di 4, 6 e 8 anni. Tutte e tre furono sequestrate dall’Isis assieme ai genitori e ai due fratelli maschi. Dei genitori e dei fratelli non si è saputo più nulla. Le tre bambine invece sono state liberate. Erano state vendute a tre famiglie diverse con le quali hanno passato oltre tre anni. Il risultato è che ora parlano una il curdo, un’altra l’arabo e un’altra ancora il turco e tra loro non si capiscono”.
Cosa ti ha colpito di più di questa esperienza?
“La voglia di normalità di questi ragazzi. Hanno alle spalle storie tremende. Hanno visto cose che nessun bambino dovrebbe mai vedere. C’è una ragazza che è terrorizzata dai coltelli perché – quando era nelle mani dell’Isis – il venerdì la portavano nella piazza dove venivano sgozzati i prigionieri. Eppure le loro foto anche quando raccontano storie drammatiche sono bellissime. Ed esprimono una voglia di essere come ogni altro ragazzo della loro età. Anche il modo in cui si rapportano tra di loro. Nella classe c’erano ragazze yazide che erano state sequestrate dall’Isis e ragazzi musulmani che avevano uno zio o un fratello che stava con l’Isis. Vederli stare insieme, a parlare, confrontarsi e discutere è stato emozionante”.
Poi però, ad un certo punto avete dovuto interrompere il corso…
“Il 25 settembre il Kurdistan iracheno ha votato un referendum per l’indipendenza. Un referendum fortemente contrastato dal governo centrale di Baghdad e da paesi come Turchia ed Iran. In pochi giorni il clima è diventato molto pesante. Ci sono stati bombardamenti aerei anche attorno ad Enishke e gruppi armati – probabilmente legati ai partiti islamisti curdi – hanno cominciato a minacciare tutti i non curdi, quindi anche i profughi. Per questo le famiglie dei nostri ragazzi hanno deciso di andare via. Di lasciare Enishke per cercare rifugio nei campi profughi fuori dal Kurdistan. E anche noi siamo stati costretti a lasciare il Paese”.
E ora?
“Continuiamo a mantenere i contatti con tutti i ragazzi. Sappiamo dove sono. E non appena saranno riaperti gli aeroporti abbiamo intenzione di tornare ad Enishke per continuare quello che avevamo cominciato. Ce lo siamo promessi con i ragazzi.
Abbiamo ancora tante foto da scattare insieme”.