di Alessandra Tarquini – Esistono parole intraducibili. In tutte le lingue ci sono dei termini che ne chiamerebbero a raccolta almeno un’altra dozzina per creare quel ponte necessario alla comprensione di un linguaggio diverso dal nostro.
Per esempio in tedesco basta una parola sola per indicare un groviglio di cavi, in hawaiano una per indicare la capacità di ascoltare le indicazioni stradali e di dimenticarle un attimo dopo, i brasiliani hanno una parola per definire la carezza tra i capelli dell’amato, mentre i giapponesi una per indicare la luce che filtra tra le foglie.
Ella Frances Sanders ne ha raccolte, scritte e illustrate cinquanta nel suo libro “Lost in Traslation”, un best seller internazionale tradotto in italiano da Ilaria Piperno e pubblicato nel nostro Paese da Marcos Y Marcos su una carta che non contribuisce alla distruzione delle foreste primarie. B-hop ha intervistato questa originale autrice e artista inglese per capire con quali parole sta affrontando le sfide di questo tempo.

Prima di tutto una domanda generale, ma importante: come stai in questo strano e pazzo periodo?
Sto bene, grazie. Anche se questi mesi hanno pesato in tanti modi e forme differenti. Mentre affrontiamo questo novembre, mi accompagna la sensazione di avere dei lividi addosso e trovo sempre più difficile concentrarmi come vorrei. Sono comunque molto fortunata, visto che il mio lavoro per molti aspetti continua come prima.
Ho l’edizione italiana del tuo libro “Lost in translation”. Quando e come è iniziata la tua passione per le parole?
Che bello! L’edizione italiana è forse stata la più apprezzata insieme a quella giapponese. Credo che le parole mi siano interessate da sempre e questo interesse è arrivato da principio perché entrambi i miei genitori erano linguisti. Non ho avuto esitazioni sin da piccola ad assorbire il loro apprezzamento e genuino amore per i libri e le parole. Molto velocemente ho iniziato a capire quanto e in che modo le parole siano importanti, quale sia l’effetto nel dire o non dire, perché alcune parole portino un peso e altre no. È una fascinazione continua.
C’è una parola che porti nelle tue tasche quotidianamente? Una che hai bisogno di toccare, guardare, sentire per andare avanti, per ricevere energia o vecchie e buone vibrazioni?
Che domanda profonda. Non credo che ci sia una parola che possa essere tenuta in tasca, ma in genere porto con me delle parole che incontro leggendo, o mentre scrivo, e le giro e rigiro per un po’. Tra le ultime lachrymose, inquitude e la tedesca unbeschereiblich.
Durante questo tempo pazzo, hai identificato qualche parola che possa esserne la sintesi? Puoi dirci quale?
Il termine tedesco che ho menzionato prima, unbeschereiblich, è stato utile per me per comprendere alcuni aspetti della “cosa” contro la quale il mondo si stava schiantando. Più o meno questa parola significa indescrivibile, ma c’è anche di più, contiene una maggiore complessità. È diverso per ognuno, qualcuno potrebbe trovarsi nella situazione di avere più parole del solito, e altri non ne trovano di adeguate per esprimere ciò che stanno vivendo o vedendo. Credo sarebbe bene trovare una parola con una definizione capace di esprimere: “processi o avvenimenti intrinsecamente estenuanti”.
Dove hai trascorso il primo confinamento? E il secondo?
Nord della Francia e ora sulla costa irlandese. Da una costa a un’altra. È stato utile almeno per sapere che l’oceano è sempre lì.
Torniamo ai tuoi libri. Come hai capito che avresti potuto illustrare le tue parole? Cosa è arrivato prima? È il testo che completa le illustrazioni o viceversa?
L’illustrazione è arrivata un po’ dopo la scrittura. Ma ora sono fortemente intrecciate. È di conforto sapere che quando mi mancano le parole, posso avere invece la possibilità di disegnarle. Con i miei primi due libri, le illustrazioni e le brevi note sono arrivate contemporaneamente, ma con il mio terzo libro, Eating the sun: Small Musings on a Vast Universe (in italiano Piccolo Libro illustrato dell’Universo), il manoscritto era già nella sua bozza finale prima che iniziassi le illustrazioni.
Quante lingue parli? E quali vorresti imparare?
Oltre al mio amato Inglese, me la cavo abbastanza con il Francese e il Tedesco, dei quali ho una conoscenza di base. Quando viaggio in un altro Paese cerco comunque sempre di conoscere un po’ della lingua del posto. Molto tempo fa ho realizzato che il mio amore travolgente per le parole mi ha, per ironia della sorte, reso completamente incapace di scegliere un’altra lingua in cui immergermi, un dilemma che mi perseguita quasi tutti i giorni. Tuttavia, mi piacerebbe imparare ogni cosa e provare ogni tanto sollievo pensando che in infiniti universi alternativi questo è esattamente ciò che sono stata in grado di fare: imparare tutto.
Stai lavorando a nuovi progetti? Puoi anticipare qualche cosa ai lettori di B-Hop?
Nell’ultimo anno ho cercato di lavorare a diversi libri, e credo, finalmente, di aver trovato quello giusto. Posso dire genericamente che riguarderà la bellezza, come la vediamo, i luoghi di bellezza nelle nostre vite e sul perché sia importante al punto che associamo alla bellezza migliaia di definizioni, non solo una.
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